LA GITA SOCIALE AL “BUSO DELLA RANA”
Tratto da “Le Piccole Dolomiti 1999” – CAI VI – aprile 2000
a sua volta tratto dal documento originale del Bollettino CAI VI Anno XVI, II, pp. 19-21
Il 16 ottobre 1938 il gruppo speleologico ha effettuato un felice esperimento di escursione collettiva al “Buso della Rana” che ha permesso ad una numerosa comitiva di addentrarsi nelle profondità di un mondo sotterraneo, tanto interessante quanto poco conosciuto. Questa grotta che si snoda per circa 4 chilometri di gallerie nelle viscere del monte Faedo, presso Priabona in Comune di Monte di Malo, è certamente una delle più importanti non solo del Vicentino, ma altresì d’Italia, sia per la sua lunghezza, sia per le sue bellezze ed è certamente destinata a diventare una cospicua fonte di studi per la varietà dei fenomeni in essa racchiusi.
Il Buso della Rana, è costituito da un fiume sotterraneo che si snoda erodendo continuamente le rocce calcareo-marmose del sito sino a creare gallerie e corridoi intersecati da grandi cameroni e da lavine. Sul tutto, l’acqua corre e sgocciola da secoli formando concrezioni bellissime dalle forme più svariate che la fantasia più sbagliata non riuscirebbe a concepire. Il solo ingresso conosciuto della grotta è situato ove sfocia il fiume sotterraneo che quale immenso atrio, ha accolto gli sguardi stupiti degli escursionisti i quali, hanno iniziato il loro cammino verso l’interno saltando di sasso in sasso nei più svariati e strani sbibigliamenti da fatica.
Gli amici del Gruppo grotte sono evidentemente i meglio equipaggiati ma essi hanno cortesemente provveduto anche per gli altri, specialmente per quanto riguarda la illuminazione. Dopo alcuni corridoi, la comitiva raggiunge il sifone, ora comodamente accessibile mercé alcuni lavori di scavo recentemente effettuati dagli speleologi vicentini. Il passaggio viene eseguito strisciando su una sassaia che porta in una grandiosa sala, nel cui centro troneggia una colossale colonna stalattitica. Quasi alla base di essa ha inizio il Lago di Caronte, lungo una ventina di metri e molto profondo, che viene superato con una comoda imbarcazione di lamiera zincata.
L’opposta riva è in breve raggiunta. Quivi un corridoio molto alto conduce i gitanti alla Sala del Trivio ove la grotta aprendosi in caverna, si divide in tre rami.
Il ramo di sinistra finisce quasi subito in un grande ammasso di argilla; quello di destra, a detta degli amici grottaioli, ha notevole sviluppo. La comitiva deve continuare così per la galleria centrale che sembra il prolungamento del corridoio precedente. Il fondo è completamente invaso dall’acqua, ma un provvidenziale ponticello, fa superare facilmente l’ostacolo, mentre il vento, ingolfandosi nei punti più stretti si fa sempre più forte.
Questa passerella è purtroppo l’ultima delle opere predisposte dal Gruppo grotte, l’andare avanti richiederà ora qualche sacrificio. Infatti, il fondo, divenuto sabbioso, fa ristagnare l’acqua ovunque; molti cominciano a cambiarsi le scarpe, altri accettano filosofica-mente il fresco pediluvio.
Fra corridoi e sifoni si arriva al Laghetto della Cascata. Questo, è un grande cavernone, mezzo invaso dall’acqua, che sembra non abbia alcuna uscita; soltanto verso l’alto, vi è una apertura dalla quale cade spruzzando una cascatella. Ci si sta domandando, un po’ perplessi,
se bisogna salire fino lassù, quando appaiono gli organizzatori affacendati attorno a due scale che cercano di unire insieme. Nessun dubbio; essi stanno preparando una magnifica doccia per tutti i partecipanti che, ormai rassegnati, guardano i preparativi e gli spruzzi, che cadono abbondantemente da tutte le parti.
La scala viene appoggiata, bisogna salire. Sopra, c’è il Corridoio delle Marmitte; è una delle gallerie più strane della grotta ed è da questo punto che sembra abbia inizio il vero dislivello. Il corridoio tortuoso si eleva a grandi ripiani, ognuno dei quali forma una cascata. È senza dubbio molto singolare; l’acqua cadendo rende i ripiani concavi in modo tale, da dare l’idea di tante marmitte in gradinata. Spesso in alcune di esse, l’acqua gira su se stessa trasportando sassi il cui moto rende l’escavazione sempre più profonda e li fa diventare simili a palle di biliardo. Qui gli spruzzi e gli sgocciolamenti cadono da tutte le parti ed e qui che si incontrano le prime meraviglie.
Le stalattiti e le stalagmiti agglomerandosi in complessi stupendi, creano paesaggi fantastici variamente istoriati dall’erosione delle acque. Le rocce, franate o cedute, sembrano ricoperte da mantelli pietrificati, il cui aspetto irreale provoca l’ammirazione degli speleologi. Ognuno cerca di esprimere le proprie impressioni ma non ci riesce; perché impossibile è racchiudere in poche, aride frasi tante bellezze di cui la natura sembra essere stata in quel luogo così prodiga.
È così che la mentalità dei gitanti cambia, e si trasforma sempre più; ormai essi non sono più tali, essi sono preoccupati soltanto dal desiderio di andare avanti e di vedere uscire dall’ombra, sempre nuovi spettacoli. Non ci si fa più caso se le mani e le gambe si spelano e sono continuamente immerse nell’acqua. Il continuo sforzo fisico ha reso le membra così calde che i piedi hanno acquistato nel posarsi una maggiore sensibilità; diguazzano allegramente senza più sentire il freddo. Gli occhi ormai abituati, vedono più facilmente il guizzo delle lampade gli appigli migliori.
Di tutte le incredibili bellezze che si incontrano, una delle più interessanti è la cosiddetta Sala della Vigna, così chiamata, perché le incrostazioni del soffitto e delle pareti assomigliano stranamente a dei grappoli d’uva. Qui stalattiti e stalagmiti ce ne sono dappertutto. È in questi passaggi che gli elmetti di cui siamo provvisti si rivelano veramente provvidenziali per proteggere le nostre teste dalle punte minacciose pendenti da ogni parte. A poco a poco il corridoio va sempre più restringendosi; i cunicoli e le strettoie si fanno sempre più numerosi. Si procede a stento tutti in fila: bisogna abbassarsi sempre più, finché il cunicolo è poco più largo della circonferenza del corpo. Bisogna andare avanti tenacemente a forza di gomiti e di ginocchia, strisciando come serpenti.
Mentre si sta cercando un mezzo per procedere più celermente, il gruppo di punta supera le ultime strettoie e sbocca fuori del cunicolo. Viene osservato giustamente, che a giudicare dalla sonorità delle voci gioiose, la escavazione raggiunta deve essere assai vasta, e difatti, la grandezza della cavità supera tutte le aspettative. Questa grotta che è chiamata l’Androne terminale ha la forma di una immensa cupola gotica la cui volta si perde nell’oscurità.
La parte di sinistra è tutta ricoperta di concrezioni strane simili a piccoli funghi bianchi. Sulla parete di destra altre concrezioni hanno l’aspetto di piccoli grappoli d’uva. Lungo la parete di fondo alcuni rigagnoli d’acqua hanno costruito una specie di manto pietrificato. Ivi sulla bruna roccia si taglia la targa posta da coloro che per primi sono arrivati fin là. Si legge tacitamente alla luce delle lampade “Gruppo speleologico del C.A.I. di Arzignano Anno VI”.
Sotto di essa sta la bandiera che i nostri amici grottaioli hanno appeso l’anno seguente. Essi sono festeggiatissimi mentre la più viva soddisfazione si legge su tutti i volti.
È la prima volta infatti, che l’androne terminale è raggiunto da un così numeroso gruppo di persone ed i presenti sono consci che la giornata odierna rappresenta uno dei momenti più importanti della fortuna speleologica del Buso della Rana.
Gastone Trevisiol