1953 Storia Esplorativa

UN PO’DI STORIA SULLE ESPLORAZIONI AL “BUSO DELLA RANA” fino al 1953

lettera di Antoniazzi Paolo

Malo, 12 Gennaio 1953

Nel “Gazzettino” di mercoledì 7 cm. lessi 1’articolo relativo all’esplorazione del “Buso della Rana” effettuata da un gruppo di speleologi veronesi e trentini.
Peccato che tale esplorazione, durata dal 26 al 31 dicembre us., sia stata fatta quasi in incognito, che volentieri io e qualche altro paesano avremmo potuto collaborare con i graditi ospiti, ai quali comunque va il nostro plauso per la coraggiosa impresa e per l’apporto, scientifico collaudato dalla loro competenza nel campo speleologico.
Prendo qui l’occasione pure per un doveroso omaggio alla memoria dello scomparso geom. Gastone Trevisiol che, assieme ad Aldo Allegranzi, al geom. Fedalto dell’Uff. Genio Civile di Vicenza ed altri compagni, diede un poderoso contributo all’esplorazione di detta grotta, compendiata nel bell’articolo edito sulla rivista 1939 del C.A.I. vicentino ed illustrato dalle 70 foto raccolte nelle varie spedizioni effettuate nel periodo dal 29 gennaio 1938 al 1 aprile 1939.
Devo comunque rilevare, in contestazione a quanto scritto nel su citato articolo del cm., che non son dovute al Trevisiol stesso le prime esplorazioni dell’interessante grotta, ma che molto prima altri effettuarono l’impresa; mi permetto così riportarne qui una cronologica e pur succinta elencazione, senza intenzione di diminuire il merito degli altri perché l’ardimento è sempre ammirevole.
Tralasciando il generico ed indiretto accenno al “Buso della Rana” che ne fa lo storico vicentino Macca, la prima esplorazione conosciuta risale al 1887; in quell’anno, approfittando di un’eccezionale siccità, un gruppo di ardimentosi formato dal sig. Castellani Valentino (padre dell’ex sindaco sig. Girolamo), dal prof. in geologia don Giacomo Bologna di Schio da Cesare Belzini ed altri di Malo, penetrò a lungo nella grotta con i1 preciso scopo di trovare sorgenti idriche per il progettato nuovo acquedotto di Malo. Nessun scritto è rimasto di questa spedizione.
Nel 1902 ne organizzò una il prof. Ramiro Fabiani, che fece dei rilievi idrografici nell’interno della grotta e nella zona circostante, rilievi che vennero pubblicati nel 1904 ed anche nel 1930 per conto del Magistrato delle Acque di Venezia.
Pochi anni dopo il Fabiani visitarono la grotta due francesi, Chappuis e Jannel, con scopi di ricerche faunistiche.
Nel 1926 sotto gli auspici della Sottosezione del C.A.I. di Arzignano sorse il primo Gruppo Grotte del vicentino, che organizzò alcune esplorazioni anche al “Buso della Rana”, con poco esito però. L’ostacolo principale era costituito dal sifone, laghetto che ostruiva tutto il passaggio della galleria a circa 250 metri dall’ingresso, impraticabile a causa del soffitto di roccia completamente immerso nell’acqua e che non permetteva quindi ulteriori avanzate.
Nel giugno 1933, approfittando del fatto che il cav. Antonio Marchioro, allora podestà di Monte di Malo, aveva adibito alcuni operai al lavoro di ricerche idriche nell’interno della grotta stessa, venne prosciugato in parte il sifone. Prosciugamento ancora esiguo in quanto il soffitto di roccia si trovava staccato appena trenta centimetri dal pelo dell’acqua, nonostante ciò il sottoscritto potè valicare da solo il sifone e mettere piede nel primo stanzone, detto poi “Sala della Colonna”.
Colà ritrovai i relitti fradici di una scala, che risultò essere stata colà abbandonata dalla su citata spedizione Castellani 46 anni prima, e che provava comunque come non fossi stato io il primo a passare il sifone!
In tale occasione rilevai l’esistenza del “Laghetto di Caronte” ed alla luce della lampadina tascabile potei vedere che al termine dì questo la grotta continuava, anche per il fatto di una fresca brezza che mi soffiava incontro.
Nel luglio successivo, prosciugato ancor più il sifone, si potè organizzare una prima spedizione, composta dal sottoscritto e dagli amici Pernigotto Antonio e Marchioro Giorgio (figlio quest’ultimo del citato podestà e deceduto pochi anni dopo in un tragico incidente motociclistico, come pure è scomparso un anno fa il Pernigotto).
Passato il “Laghetto di Caronte” a mezzo di una di quelle madie rettangolari e basse in uso nel vicentino per uccidere i maiali, dette “mezze” (non si arrivava a fare l’intero traghetto che era già piena d’acqua) sì raggiunse la sala del trivio, cioè delle tre biforcazioni; si pensò di esplorare il condotto di destra in quanto, sebbene bisognasse passare un guado profondo circa un metro e mezzo, sembrava più comodo ed in leggera salita.
Dopo tale esplorazione, durata circa 10 ore, ne venne effettuata un’altra il 21 dello stesso mese, con circa 11 o 12 partecipanti (il sottoscrìtto e i due amici precedenti, Romagna Giovanni, Bazzon Antonio, Antoniazzi Adolfo, De Vicari Umberto, dottor Felice Dalla Vecchia ecc., tutti di Malo) ed organizzata con più cura avendo fruito dell’aiuto della locale Sezione Pompieri. Visitato il condotto di sinistra che ha subito termine, si esplorò ancora ma più oltre la diramazione di destra del trivio, senza altro risultato positivo che di arrivare dopo circa 600 metri ad un cunicolo tanto stretto, da cui filtrava una corrente d’aria continua ma per il quale ad ogni modo era impossibile proseguire. Dodici ore di permanenza nella grotta quel giorno.
Lo stesso percorso venne effettuato in quei giorni pure da tre speleologi arzignanesi, il rag. Bortolo Fracasso, Carlo Molon ed un altro di cui mi sfugge il nome, i quali il giorno 19 avevano potuto fare una rapida puntata fino alla “grotta della cascata” nel condotto centrale.
L’esplorazione a fondo del braccio centrale venne effettuata il 27 agosto 1933 dal detto gruppo di speleologhi arzignanesi assieme al sottoscritto ed ai due soliti amici Pernigotto e Marchioro. Sei persone!
Superati con fatica, perche sprovvisti di corde, i 5 metri. di strapiombo della cascatella e passati i tortuosi meandri delle gallerie dette “delle stallatiti”, si giunse all’immenso salone “della slavina” di cui non si poteva vedere la volta nonostante il buon chiarore del fanali a carburo e delle lampadine portatili. Nel fondo dello stanzone, dalla parte opposta all’entrata, si proseguì per un cunicolo così stretta che si rese necessario smussarne con un’ascia le protuberanze rocciose e strisciare poi come lumache per una decina di metri tutti fradici dell’acqua che in fangoso rigagnolo usciva dal cunicolo stesso.
Raggiunto il Camerone conico finale non si poteva proseguire oltre se non tentando di allargare con una mina lo stretto pertugio a fior di terra, come nel condotto di destra, da cui entrava una frizzante corrente d’aria dimostrante che più oltre c’è ancora qualcosa. Ma come si fa. Una qualsiasi deflagrazione in simili caverne determinerebbe un pericolosissimo franamento di massi dalle instabili volte, con ripercussioni anche lontane dal luogo dello scoppio; neppur da tentare. Prima di lasciare lo stanzone terminale gli arzignanesi infissero sulla parete una targa di bronzo con la dicitura: “A. X 27-8 Gruppo Speleologico C.A.I. Arzignano”.
Nel viaggio di ritorno si scoprì una diramazione sopraelevata, ma dopo circa 80 metri di percorso si dovè sospenderne l’esplorazione a causa dì profondi pozzi, frane ed enormi massi pencolanti. Altre 11 ore di esplorazione. Nell’occasione il rag. Fracasso trovò piccoli esemplari di molluschi viventi nell’interno della grotta, da lui descritti poi, come del resto la storia della spedizione stessa, in alcuni articoli pubblicati sul giornale Vedetta Fascista del 3° agosto, 10 ed 11 novembre 1933.
Nel settembre di quell’anno accompagnai il rag. Fracasso in un’interessante gita sull’altopiano di Faedo, frazione del Comune di Monte di Malo sovrastante il terreno grotticolo. La zona di Faedo è ricca di doline, profonde buche nel terreno erboso, a forma di imbuto, prodotte da sotterranei franamenti; infatti, se si scava circa due metri sui fondo di dette buche si trova il vuoto. Nella sola zona compresa tra il monte Casaron, il Bosco dei Maistri e Faedo, sono conosciute ben dodici di queste doline, taluna delle quali di proporzioni grandiose.
Vi sono anche le cosiddette “spurghe” (la più grande è prossima alla contrada Milani), pozzi naturali profondi parecchi metri e che sembra siano comunicanti col sottosuolo; pericolosi da esplorare perché il terreno che ne costituisce il fondo è franabile.
Non posso dimenticare qui l’osservazione che detto anno 1933 segnò il punto delle esplorazioni al “Buso della Rana” in quanto se n’era fatta una così grande pubblicità che nei due mesi di agosto e settembre, ed anche dopo, fu visitato, più per curiosità ed almeno nel suo primo percorso, da numerosi gruppi di turisti e locali; basti dire che per alcune domeniche fece buoni affari, sotto il maestoso androne d’ingresso, una bancarella di . . …….angurie fresche!
Nel 1938, organizzata dal C.A.I. di Vicenza, venne effettuata una numerosa spedizione turistica al “Buso della Rana”, con buona rappresentanza del gentil sesso; l’esplorazione, descritta da Emilio Pisani in Vedetta Fascista del 30 ottobre 1938, ebbe per meta il Camerone finale del condotto di centro.
Come detto in precedenza, nel 1938 e 1939 vennero effettuate pure le varie esplorazioni a carattere tecnico-scientifico del Trevisiol e dei suoi compagni del C.A.I. di Vicenza.
La parentesi della guerra sospese l’interesse anche turistico del “Buso della Rana” che, comunque, dopo le profonde indagini e descrizioni del Trevisiol stesso, del C.A.I. di Vicenza, del Gruppo Speleologico di Arzignano ed infine quelle recenti del Gruppo Speleologico veronese – trentino, in buona parte ha certo svelato i suoi millenari segreti. E’sempre viva però nel mio paese la leggenda che la grotta abbia avuto ed ha comunicazioni dirette esterne col versante di Cereda e Cornedo.
Nello scorso autunno 1952 la grotta fu visitata per due giorni consecutivi da un folto gruppo di giovani scouts di Marano Vicentino.
A chiusura di questa mia, purtroppo prolissa, esposizione, mi permetto esprimere il mio convincimento, condiviso pure a suo tempo dal rag. Bortolo Fracasso, che lo sviluppo delle gallerie costituenti l’insieme del “Buso della Rana” superi di ben molto i 2600 metri indicati dal Trevisiol, perché molti bracci secondari sono di difficile percorrimento od ancor nascosti, comunque sia c’è campo libero e tempo per le iniziative dei nostri giovani.

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