di Federico Lanaro (Gruppo Speleologico CAI Malo)
Tratto da Speleologia Veneta n° 2 – 1994
L’idea di ritornare con Maurizio Da Meda in fondo al Ramo Nero era da tempo che mi frullava per il capo. La notizia del superamento del sifone finale da parte di Ennio e la conferma che il ramo proseguiva aveva reso più insistente la mia richiesta con Maurizio: “… fissiamo una data, se poi tu devi andar via per lavoro … pazienza …” Fu così che stabilimmo di andare il 18 settembre, nella speranza che il periodo di siccità, che durava da parecchie settimane, non mollasse sul più bello. Anzi, la siccità era proprio uno dei motivi che ci spingevano a tentare il sifone in questo periodo perché le piogge estive non avevano pregiudicato i livelli interni che, mi si diceva dagli speleo del gruppo, erano incredibilmente bassi. Un motivo in più per capire se il sifone era più praticabile con il secco. Il sabato precedente andiamo a provare i materiali a Contrà Pria, sull’Astico, per prendere confidenza con i bombolini e, soprattutto, con il sistema di lavorare (sassi dentro il sacco) adottato per motivi di peso. Tutto si svolge benissimo anche se all’inizio fatico a restare sotto per scarsità di peso, ma poi prendo confidenza con l’attrezzatura e Maurizio svolge un mini-corso sub a me e a dei ragazzi, entusiasti, che conosciamo sul posto.
Il problema grosso sono gli speleo di appoggio (leggi: sherpa) l’appello lanciato in sede precedentemente mi conferma la presenza di Marianna e Andrea, con Stefano (mio figlio) e Orso: siamo sufficienti a patto che Maurizio riesca a racimolare un paio dei suoi. Siccome non si sente sicuro, al venerdì precedente la data fatidica Maurizio va in sede del Proteo, per vedere se trova qualcuno disponibile e ottiene una mezza promessa da parte di Mauro Trevisiol. Viene così la mattina di sabato, ci troviamo all’ingresso io, Stefano, Orso e Marianna (Andrea ha dato forfait per influenza), arriva Maurizio … da solo! Decidiamo seduta stante di coinvolgere Luca che è venuto all’ingresso a vedere i preparativi e riusciamo a convincerlo, anche se lunedì ha un esame a scuola. Mentre Luca va a prendere i materiali a casa, arriva Mauro Trevisiol e così siamo in sette, un tubolare a testa e si può andare.
Procediamo veloci lungo i passaggi familiari favoriti dalla scarsità dei livelli idrici. Siamo a Sala Snoopy dopo circa un’ora e mezza, tempo ridotto dato il carico, breve sosta e ci infiliamo nel Ramo Nero, qui ci aspetta la prima sorpresa: il livello idrico del ramo non sembra affatto influenzato dalla prolungata siccità ed il torrente canta allegro come al solito … scherzi di Rana! Maurizio mi fa fare la variante del Pettine che trovo molto bella, anche se un po’ più stretta del passaggio aereo e siamo a Sala dei Tufi. Una breve occhiata allo stato di usura della scaletta metallica e poi deciso, supero senza respirare gli otto metri di verticale e, una volta in cima, inizio a recuperare sacchi e gente. A Sala dei Tufi 2 breve occhiata al bellissimo marmittone del Lago d’Ops e su verso Sala Settembre. Siamo alla zona finale del Nero alle 16 circa di sabato, dopo solo quattro ore e mezza dall’ingresso, un’ottimo tempo.
Ci trasferiamo a Sala della Foglia, che ci sembra la più adatta del Ramo Nero, ad accogliere il campo base, soprattutto considerato che gli speleo di appoggio dovranno bivaccare per lungo tempo. Ci prendiamo qualche mezz’ora per riposarci, mangiare qualcosa di caldo e fotografare una famigliola di ghiri che nidifica su un mucchio di sassi sotto il camino di Sala della Foglia. Cominciamo quindi i preparativi: la vestizione è lenta e quasi rituale. Ci portiamo appresso un mini fornello meta con caffè, trousse da rilievo, vescica stagna per proteggere il carburo nella parte sommersa. Fissiamo la pila ausiliaria sul casco e siamo pronti. lo indosso la tuta speleo sopra la muta e dopo qualche centinaio di metri non vedo l’ora di arrivare all’acqua per rinfrescarmi. Marianna e Mauro ci accompagnano fino al laminatoio allagato e lì ci salutano. Sono le 18,30 e abbiamo intenzione di tornare non più tardi delle 23.
Cominciamo quindi subito a rilevare poiché non sappiamo dove terminava il precedente rilievo. Dopo una cinquantina di metri Maurizio si infila in un basso cunicolo che diventa ben presto troppo stretto. Il sifone si trova sulla destra dove una mia perlustrazione rivela il sagolino di Ennio che si inabissa nelle nere acque Ramo Nero. Preparativi: maschera ben pulita e ben calzata, sassi dentro al sacco. Decidiamo di tenere il sacco con il bombolino in mano perché il passaggio sembrerebbe a laminatoio. Parte Maurizio io mi inabisso dietro di lui. Sulle prime camminiamo con la sommità del casco fuori dall’acqua, come incastrata in un piccolo canale di volta, poi i piedi sono nel vuoto e intorno a me c’è il buio più totale. Seguo Maurizio che vedo davanti a me, ma la progressione è difficile perché la muta positiva tende a farti galleggiare, mentre il sacco in mano ti impedisce la regolare nuotata e ti sbilancia. Comunque dopo pochi metri siamo nuovamente con i piedi per terra e la calotta del casco emerge dall’acqua. Dopo tre curve a gomito di 90° si esce completamente. Abbandoniamo i bombolini e proseguiamo rilevando. In breve siamo alla saletta dove Ennio aveva legato il sagolino.
Qui la grotta si divide in varie gallerie. La principale chiude dopo una trentina di metri, mentre una risalita ci porta su una bella condotta forzata circolare, dove pavimento, pareti e soffitto sono ricoperti da un sottile strato di limo, segno che va (o andava) tutto sott’acqua. Questa galleria, lunga una cinquantina di metri, porta con leggero innalzamento, ad una bella saletta con stacchi di diaclasi su una parete. Da un basso passaggio proviene il ramo attivo, ma una frana necessiterebbe di un lavoro di assestamento per proseguire. Rileviamo e fotografiamo mentre la stanchezza comincia a farsi sentire.
Torniamo alla saletta del sagolino e ci facciamo un bel caffè bollente perché sia io che Maurizio, malgrado nella mia muta non sia entrata la minima goccia d’acqua, cominciamo ad avere brividi di freddo; sono le 22.30 passate e da quattro ore siamo oltre il sifone. Mentre Maurizio ripone il fornello torno, di corsa per scaldarmi, alla sala terminale per affiggere con un chiodo alla parete, una targa ricordo della spedizione, che ha anche lo scopo di segnalare ad un’eventuale spedizione che arrivasse a monte del Ramo Nero, e quindi dalla nuova grotta del Faedo, di essere veramente al Buso della Rana.
Il sifone al ritorno è più torbido che all’andata, questa volta vado avanti io e Maurizio mi tallona da vicino. Trasciniamo i nostri bombolini fra i laminatoi fino a Sala della Foglia, dove i “nostri” ci accolgono con un’applauso (sic!). Facce da sonno, hanno terminato alla seconda minestra il gas del fornello e sono andati avanti a thè fatto col meta.
Il ritorno non fa storia se non fosse che un dolore nevralgico lancinante al piede destro, che ho leggermente distorto, che aumenta progressivamente e che mi costringerà ad un’uscita alquanto penosa. Comunque siamo fuori alle sei circa del mattino, e dopo un rapido cambio, ci mettiamo a cercare ma inutilmente, un bar aperto per brindare all’ottima riuscita della spedizione. Ci lasciamo quindi, malvolentieri, anche se siamo stanchissimi, con la promessa di ritrovarci per stappare una bottiglia alla salute dell’ Ultima Spiaggia, così abbiamo chiamato la sala finale appena scoperta.
Leggi il racconto della stessa uscita fatto da Maurizio Da Meda.