Autore: Federico Lanaro del Gruppo Speleologi CAI di Malo (tratto da Speleologia Veneta 4 1996)
Premessa
Osservando il Ramo Principale è interessante notare che esso impostato all’incirca in direzione est-ovest e che costituisce in pratica l’estremo limite sud della grotta. Da anni gli speleologi vicentini ed anche noi del GSM, stiamo cercando un passaggio che permetta di penetrare a sud del Ramo Principale, visto che esiste una grotta con uscita d’acqua perenne, Grotta della Poscola che si trova a Priabona, qualche chilometro a sud del Buso della Rana, per cui non è azzardato pensare che vi potrebbe essere una comunicazione.
Storia Esplorativa
Dopo l’esplorazione sommaria degli anni anteguerra, il primo serio tentativo di esplorazione si deve al Gruppo Grotte Schio, che nel ’64 ritorna al fondo del ramo dei Salti e riesce a superare, a mezzo di tecniche alpinistiche, la parete terminale raggiunta dallo stesso gruppo negli anni ’50. Oltre questa viene percorso un nuovo tratto di galleria ma un altro muro verticale respinge un successivo tentativo di risalita del ramo.
Le esplorazioni del GSM
Il Gruppo Speleologi del CAI di Malo aveva indirizzato le sue ricerche nel tentativo di superare il “limite sud” del Buso della Rana, imposto dal Ramo Principale. A questo scopo era stato percorso il Ramo dei Salti che, benché affluente, imboccava proprio tale direzione, migliorandone la percorribilità con scale e cavi di sicura nei passaggi maggiormente esposti. Eravamo rimasti colpiti dal grande camino che si apre nella zona terminale del ramo e, da un lato per ovvi motivi esplorativi, dall’altro perché l’arrampicata, con la sua ottima ed articolata roccia, tentava l’esperto arrampicatore del gruppo, decidemmo di effettuare la risalita, peraltro già tentata da altri gruppi vicentini ma senza successo.
La prima esplorazione (25 novembre 1978).
E’ così che, approfittando di un lungo periodo di siccità, Mino, Adriano ed io decidiamo un sabato pomeriggio, di iniziare la risalita del camino. Il trasporto del materiale: scarponi da roccia da cambiare con gli stivali prima della salita, corda dinamica, chiodi, staffe eccetera, alquanto lungo e sfibrante data la ristrettezza del meandro iniziale. Arrivati alla base del camino notiamo che lo stillicidio è quasi inesistente, come speravamo infatti di trovare, visto che il tentativo di un altro gruppo era stato reso vano da una “cascata d’acqua” che scendeva dal camino. Mino si “veste” da arrampicata appendendosi addosso tanta di quella roba che stentiamo a credere possa innalzarsi più di qualche centimetro. A dispetto delle nostre previsioni Mino attacca lento e sicuro la parete, costituita da roccia solida ed articolata. Dopo dieci metri arriva ad un ampio terrazzo da cui fa sicura. La parete sovrastante si presenta verticale ma ricca di appigli per cui Mino non ha esitazioni e dopo otto metri di risalita raggiunge un secondo terrazzo con numerose marmitte sul pavimento. Ancora una decina di metri ci separano dalla sommità del camino. Sembra che l’acqua provenga da una finestra che si apre sul soffitto. Mino riprende a salire e raggiunge una piccola cengia a otto metri dal terrazzo, arrivato alla quale scopre… un pozzo! Infatti c’è una piccola fessura non visibile dal basso che sprofonda subito in un pozzo di sei o sette metri, allargandosi notevolmente e con il fondo in ripida discesa. Grida di gioia e grandi pacche sulle spalle: questo camino comincia a fruttare delle sorprese inattese. Pianto uno spit (chiodo ad espansione) e dopo una rapida pulizia dei bordi, mi lascio scivolare verso il fondo. Esso degrada fino ad imboccare un ripido e franoso cunicolo, con un secondo pozzetto in fondo. Alla base di questo… la fine; un condotto impraticabile continua ma per la taglia umana non c’è proprio niente da fare.
Mi raggiunge Adriano ed insieme risaliamo cercando eventuali prosecuzioni. E’ così che quest’ultimo nota inequivocabili segni di unghiate sull’argilla delle pareti. Sono i ghiri che a quanto è dato di vedere dallo studio delle impronte, risalgono questo cunicolo e probabilmente anche il pozzo! Ancora una volta ci stupisce il fatto di rinvenire le tracce di questi animaletti in zone di grotta molto interne e lontane dalla superficie esterna. Risaliamo molto velocemente perché si fatto molto tardi e non vorremmo che a casa si facessero brutti pensieri. Prima di cominciare la discesa dal terrazzo, osservo una diramazione del camino con tracce di erosione idrica e scorgo, una ventina di metri più in alto, un allargamento buio e promettente. Dopo questa constatazione scendiamo veloci il camino ed il Ramo dei Salti e siamo all’esterno alle nove di sera.
La seconda esplorazione (2 dicembre 1978).
Ancora di sabato pomeriggio, siamo io, Mino, Toni, Daniele e la nostra intrepida segretaria: Santina. Abbiamo deciso di proseguire l’esplorazione portando avanti anche il rilievo topografico, per sapere che direzione prende il camino. Dopo aver raggiunto la seconda cengia risalendo le corde lasciate nella precedente esplorazione, Mino si rimette ad arrampicare lungo un colatoio molto liscio, alla cui sommità c’è l’allargamento notato la volta precedente. Toni e Santina nel frattempo rilevano i primi due tiri di corda. Mino si innalza lento ma deciso, usando le pedule da arrampicata, con le quali effettua spaccate e passaggi in pressione da manuale. Arriva ad una cengia ingombra di massi, la supera e, con un ultimo tiro di circa dieci metri, arriva ad una bella saletta asciutta, con una finestra in una parete e l’arrivo di un bel meandro a quattro metri da terra. Mi colpisce l’assenza dell’acqua che pare abbia abbandonato da poco questa via, visto che la conformazione del luogo è chiaramente dovuta ad un torrentello che scendeva dal meandro cascata. Mino generosamente mi lascia proseguire l’esplorazione. Supero “di forza” il saltino di quattro metri ed imbocco il meandro. Lo percorro non senza provocare il crollo di alcuni massi instabili che impedivano il passaggio. Un altro salto di un paio di metri lo supero agevolmente in spaccata e mi trovo davanti ad una bella saletta pulita, riempita dallo scroscio dell’acqua che scende da circa otto metri da terra. Il rivo d’acqua si getta in una stretta fessura nella direzione opposta a quella dalla quale sono arrivato. Mino, giunto nel frattempo, esulta con me davanti a questa scoperta perché siamo convinti di aver trovato un nuovo ramo attivo che, a sua volta disceso, ci porterà in una zona di grotta nuova, in direzione della Poscola, la grotta-risorgente sull’altro versante della montagna. Mino, guardando dentro la fessura, dichiara di scorgere Priabona e di sentire le moto da cross correre in pista. La spedizione viene interrotta e le due sale vengono battezzate, di comune accordo: Sala Priabona e Sala Ore Lunghe, perché non riusciamo mai ad uscire prima del mattino della domenica e le ore sono lunghe per quelli, o meglio quelle, che aspettano a casa.
La terza esplorazione (8 dicembre 1978).
Le “imprese” dei primi esploratori entusiasmano i soci del gruppo che si ritrovano numerosi il terzo sabato consecutivo davanti all’ingresso del “Buso”. Sono Cesco, Mino, Fabio, Toni ed io. Vengono formate due squadre; una con il compito di esplorare la “perdita idrica” di Sala Priabona per vedere se scarica in un ramo inferiore di dimensioni maggiori, la seconda dovrà superare la cascata di Sala Priabona e proseguire l’esplorazione del torrente verso monte, lo e Cesco ci occupiamo della perdita non prima di aver forzato a martellate lo stretto cunicolo per consentire il passaggio.Dopo alcuni metri di strettoia arrivo al piccolo saltino che coincide con un allargamento di sezione. Ma le mie velleità esplorative si spengono davanti alla successiva fessura di dieci centimetri, in cui si getta scrosciando il torrentello. Accerteremo successivamente che esso riappare nell’ultima saletta esplorata dal CAI Schio nel vecchio Ramo dei Salti e percorre quindi il ramo stesso, a valle del grande camino da cui abbiamo iniziato le nostre risalite. Risaliamo allora la cascata di Sala Priabona per raggiungere il secondo gruppo. Imbocchiamo un bel meandro di venti metri che porta ad un nuovo saltino. Non c’è la corda perché quelli davanti a noi non l’hanno lasciata. Sopra di noi c’è un vasto ambiente e non si sente il rumore dei nostri compagni di esplorazione. Superiamo con non poche difficoltà questo dislivello, dato che vi sono pochi appigli e ci troviamo in una bella sala con una grande parete alla cui sommità si nota la partenza di un meandro cascata, ora asciutto. Noi riprendiamo a salire il torrente per la via più logica di prosecuzione. Infatti, dopo un passaggio tra grandi blocchi instabili, il torrente torna a scorrere in una grande galleria in ripida salita. Ci troviamo davanti ad un altro salto dove i nostri compagni hanno lasciato una corda. Superato anche questo dislivello di circa sei metri ci troviamo riuniti ai nostri amici che sono alle prese con un ostacolo che sembra insuperabile.Ci troviamo infatti alla base di un grande pozzo-cascata alto almeno una quindicina di metri. La cascata scende da una cengia molto erosa a dieci metri da terra e la parete liscia battuta dall’acqua. Mino pontifica che la risalita diretta quasi impossibile sia per la difficoltà dei passaggi, sia perché si troverebbe ad arrampicarsi sotto il getto d’acqua; tutti gli diamo ragione pienamente. L’unica soluzione sembra essere la parete di fianco, che presenta un cunicolo in salita con l’ingresso molto stretto. Toni ha già tentato di passare ma, non essendovi riuscito, ora lo sta allargando a martellate, lo lo raggiungo ed esprimo la mia intenzione di provare. Sfruttando le ampie spalle di Mino come base di partenza riesco ad infilarlo e risalgo un ripido colatoio che gira verso la cascata. Purtroppo, dopo una saletta, anche questa via termina intasata da antichi e ben cementati massi. Dalla saletta c’è poi una finestra che comunica con il camino. Assicuro la corda ad un robusto spuntone e la getto fuori, Toni, risalendola, ha così modo di portarsi presso la cengia erosa da cui scende la cascata; ancora troppo lontano e nemmeno con un lungo pendolo riesce a raggiungerla. Toni allora prende il capo inferiore della corda e vi fa un nodo tipo “lazo”. Dopo alcuni lanci a vuoto, finalmente aggancia alcuni spuntoni della cengia e quindi, tra i nostri applausi, si tira a forza di braccia fino a raggiungerla. Da qui assicura la corda ad un solido spit e in breve lo raggiungiamo. Altri quattro metri di colatoio facile ci permettono di raggiungere la sommità del pozzo ed imboccare nuovamente il meandro.
Purtroppo la nostra gioia di breve durata perché una frana ci blocca la prosecuzione. L’acqua esce da sotto i massi ma non c’è passaggio, nessuna fessura che ci dia qualche speranza.
Cesco, non convinto della inappellabilità del destino, cerca in alto sopra i massi. Ad un tratto il suo grido ci fa accorrere tutti. Il passaggio c’è, ha dovuto spostare qualcosa ma ora la nera occhiaia che ci alita in faccia una forte corrente d’aria è sicuramente la chiave che ci consentirà di procedere. Per questa volta ne abbiamo però abbastanza e quando usciamo sono ormai le sei del mattino: eravamo entrati quindici ore prima!
La quarta esplorazione (16 dicembre 1978).
Davanti al Buso della Rana alle nove di mattina siamo solamente in tre: Cesco, Santina ed io. Il tempo non è molto bello, è piovuto e pensiamo di trovare abbastanza acqua dentro la grotta. Comunque la voglia di superare la famosa strettoia è tanta e ci incamminiamo veloci nel Ramo Principale. L’acqua è maggiore del solito ma non sappiamo che all’esterno ha ripreso a piovere. Lo immaginiamo quando arriviamo al primo saltino da otto metri, armato con corda e scala. Il pozzo cascata battuto da un getto d’acqua impressionante e la scaletta ne è investita in pieno. Decido di salirlo con il cappuccio della tuta sotto il casco, ma anche così mi inzuppo completamente.
Cesco e Santina subiscono la medesima sorte ma ora che siamo bagnati non abbiamo più motivo di tornare indietro per cui avanziamo in un Ramo dei Salti veramente nuovo ed impressionante per il rumore che l’acqua provoca in un ambiente così piccolo. Al Salto del Cow-Boy, com’è stato battezzato l’ultimo pozzo risalito, il rumore è così forte che siamo costretti ad accordarci prima di arrivarvi, sui turni di risalita ed aspettare ben lontani dalla cascata, che il compagno termini la sua penosa impresa. Ci ritroviamo così nella calma e nel silenzio della frana finale dove ci fermiamo a mangiare un boccone ed asciugarci alla meglio. Siamo quasi convinti che è stato uno sforzo inutile visto che siamo stanchi e dobbiamo allargare la strettoia notata da Cesco la volta precedente. Ma una volta tanto la grotta ci da una mano ed il lavoro si presenta più facile del previsto poiché non dobbiamo spostare i massi, ma solo scalzarli e lasciarli cadere giù, dove non danno fastidio a nessuno e non intralciano il cammino.
Una volta sgomberata la via ci presenta di fronte una fessura percorribile e riesco a superarla agevolmente e sbucare in un ampio ambiente battuto da una cascatella. Cesco e Santina mi raggiungono ed esploriamo la sala che si presenta di pianta pressoché rettangolare, con il pavimento che risale una lunga frana alla cui sommità non c’è però nessun cunicolo.
Guardiamo il soffitto che è praticamente costituito da grossi massi che sembrano restare su per miracolo. Tra questi c’è una finestra che sembra essere l’unica possibilità esplorativa offerta dall’ambiente, visto che la piccola cascatina scende da una fessura impraticabile. Circa dieci metri di dislivello ci separano dalla finestra e la parete così marcia che sembra franare solo a guardarla. Sfruttando una conoide di materiale di crollo si può guadagnare qualche metro che però ci sposta dalla verticale, comunque, visto che la roccia è più consistente decidiamo di attaccare da quel punto. Dopo qualche metro di facili passaggi arrivo al passaggio chiave dove piazzo un chiodo da roccia con relativa staffa. Da questo riesco, con il cuore in gola, ad arrivare alla finestra. Per prima cosa pianto uno spit molto interno, dove la roccia è più solida, a cui mi autoassicuro, visto che anche il pavimento di questo terrazzo mi sembra crollare sotto i piedi. Una rapida esplorazione mi permette di ritrovare il torrentello che però nasce da una grossa frana: sembra proprio la fine. Ormai siamo stanchi, senza il carburo che abbiamo abbandonato strada facendo, le fiamme delle nostre lampade non fanno più luce di un cerino.
Nel tornare sul terrazzo noto un cunicolo tra i massi, sembra cieco, ma l’esperienza mi ha insegnato che in grotta, ed in particolare al Buso della Rana, non bisogna mai fidarsi della apparenze. Risalgo un basso passaggio fra roccia e massi, in ripida salita e dopo una ventina di metri mi ritrovo a sbucare nel pavimento di un grandissimo ambiente. La mia piccola fiammella non mi permette di vedere le pareti che racchiudono questa imponente sala, sembra di essere all’aperto in una notte senza luna. Mi aggiro come inebetito e finalmente realizzo l’ambiente in cui noto delle grandi gallerie che si dipartono. E’ entusiasmante! Scendo al terrazzino e comunico ai compagni l’inattesa scoperta. Scendiamo veloci e contenti, in perfetta simbiosi con l’ambiente visto che oramai l’acqua che percorre il ramo scorre in tutta tranquillità anche dentro ai nostri vestiti. Alla base del grande camino troviamo Toni, Giorgio e Massimo che risalgono il ramo. Erano convinti di raggiungerci in tempo per partecipare all’avanzamento ma sono stati rallentati dalle condizioni idriche trovate. Comunque le notizie che portiamo rallegrano tutti e mentre noi usciamo con Massimo, Toni e Giorgio proseguono per dare un’occhiata.
Le esplorazioni del dicembre ’78 e gennaio ’79.
Le spedizioni successive ci portano a constatare che il grande salone rappresenta anche il termine esplorabile del Ramo dei Salti, dato che il torrente che si ritrova nel salone, si può percorrere ancora per poche decine di metri, dopo di che si divide in una serie di piccoli apporti impraticabili. Delle grandi gallerie che si dipartono, una s’innalza subito in un camino che, risalito, è risultato dalle misurazioni topografiche, uno dei punti più alti del Buso della Rana (218 metri dall’ingresso). La seconda si esaurisce dopo pochi metri in una frana impercorribile. Ulteriori soddisfazioni le abbiamo avute invece dalle esplorazioni delle diramazioni, che sono riportate a seguito in ordine di importanza.
Il Ramo degli Stanchi si stacca dalla Sala della Confluenza e si snoda in risalita con una serie di belle cascatine sormontate da ambienti relativamente grandi. Interessante notare che esso è impostato lungo una linea di faglia ben visibile. Termina restringendosi sempre di più, fino a diventare impercorribile. Il Ramo dell’Altare inizia da una finestra a cinque metri dalla base della Sala Ore Lunghe. E’ un modestissimo apporto idrico risalibile in arrampicata per una decina di metri in un bel fusoide, tagliato a metà da una lama di roccia. Alla sommità c’è una colata calcitica che ricorda un altare. Alla sommità del Camino del Decennale, il primo risalito, c’è un bel meandro con il pavimento sfondato in vari punti. Esso si restringe fino ad una strettoia inizialmente intransitabile, ma che è stata forzata perché la violenta corrente d’aria che ne usciva ci aveva indotti a sperare in grossi sviluppi successivi. Ma dopo essere riusciti a passare, a prezzo di notevoli sacrifici, si usciva nella già nota Sala Ore Lunghe. Probabilmente la corrente d’aria è dovuta al tiraggio esistente tra due zone di grotta di differente umidità e temperatura: da una parte il camino, freddo e bagnato, dall’altra la sala, più calda ed asciutta. Il Rametto dei Ghiri inizia in una nicchia della parete del Camino del Decennale per sprofondare con un cunicolo in rapida pendenza nel quale sono state notate tracce di ghiri. Un breve pozzetto porta ad una salettina che segna la fine del ramo percorribile.
Hanno preso parte alle spedizioni necessarie all’esplorazione, armamento, rilievo topografico e documentazione fotografica del Ramo dei Salti i seguenti speleologi del GSM di Malo: Daniele Baio, Santina Ballardin, Massimo Boscato, Mino Dalla Vecchia, Francesco Faccin, Federico Lanaro, Adriano Marchesini, Giorgio Marchierò, Fabio Sartori, Tessaro Antonio, Alfredo Veronese oltre a Paolo Burato dell’ASV e Giuseppe Nassi del GGT di Vicenza.