di Lanaro Federico (Gruppo Speleologi Malo)
(ndw, la scoperta della foglia in fondo al Ramo Nero)
Tratto da Stalattite anno XI, 45-47, 1977
Sabato 12 settembre 1977; un giorno come tanti altri ma non per me, Alfredo e… Adriano. Adriano perché si sposa, Alfredo ed io perché finalmente possiamo vedere un po’ di “Rana” nuovo. Tutto è cominciato con un invito da parte del Gruppo Grotte C.A.I. Trevisiol di andare a fare una punta con loro in fondo al Ramo Nero, oltre la strettoia la cui disostruzione aveva richiesto ben sette ore di duro lavoro. Io accetto e chiedo ad Alfredo se vuole venire anche lui. Sarà perché è una spedizione notturna, e Alfredo ha un debole per questo genere di spedizioni, fatto sta che dopo qualche tentennamento accetta e ci accordiamo per fare un servizio fotografico speditivo. Ci troviamo noi due ed Alfeo Tonellotto, Beppe Nassi e Claudio Barbato del C.A.I. Trevisiol all’ingresso del Rana alle 4 pomeridiane. Soliti lenti preparativi e vestizione accurata. Restiamo di stucco nel vedere il loro bagaglio che si riduce a 3 minuscoli minisacchi con dentro mi dicono, viveri, bevande, carburo e trousse da rilievo. Solo un tubolare normale contiene un paio di staffe, qualche chiodo e una scala da sostituire ad una che si trova in grotta da oltre due anni. Noi osserviamo i nostri due bei tubolari ben forniti di carburo, viveri e aggeggi fotografici e dentro di noi li compatiamo.
Velocemente ci portiamo al laghetto dove gonfiamo il canotto e navighiamo verso l’altra sponda. Poi via veloci verso il Labirinto, la Sala da Pranzo, il Ramo Morto il Ramo di Destra e Sala della Scritta. Breve sosta per tirare il fiato e avanti ancora nella grande frana che aveva nascosto fino al 1969 l’evidente prosecuzione del Ramo Attivo di Destra. Oltre a questa c’è il Salone Pasa, grande ambiente ingombro di massi e quindi il sifone ora superabile con un passaggio fossile. Dopo un po’ c’è il laminatoio, 20 metri di galleria molto bassa, allagata in condizioni di grande portata. Ancora qualche centinaio di metri di comodo ramo attivo costellato di laghetti e siamo nella Sala Ghellini con il suo labirinto di gallerie che arrivano e che partono. L’essenziale è prendere quella giusta. Prendiamo «quella giusta» in ripida salita e dopo qualche sù e giù arriviamo alla Sala della Conoide, per tre quarti occupata da una enorme e ripida slavina. In linea d’aria siamo vicinissimi a Sala Snoopy sul Ramo Nero, ma bisogna percorrere un dedalo di piccole gallerie fossili che funzionano da «spartiacque» fra i rami attivi che scaricano nel «vecchio» Rana e l’enorme ramo attivo scoperto solo nel ’71 sempre dal C.A.I. Trevisiol e battezzato «Ramo Nero» per la presenza quasi costante del basalto. Percorsi i labirintici intrecci delle gallerie fossili siamo finalmente alla Sala Snoopy, al bivacco fisso dove ci riposiamo e rifocilliamo. Sono 4 ore che siamo entrati. Dopo mezz’ora di sosta riprendiamo la marcia; Beppe ed Alfeo vanno avanti, mentre Claudio più lento e metodico, ci accompagna illustrandoci i vari passaggi e raccontando la storia dell’avanzamento del C.A.I. Trevisiol in questo bel ramo. Dopo un bel passaggio in pressione sulle verdi e profonde acque di un laghetto ci aspetta la strettoia dei «3 massi» da cui inizia il lungo laminatoio che caratterizza il Ramo Nero nella parte a monte di Sala Snoopy. Si avanza a carponi, spesso evitando le pozze d’acqua per un tempo infinito. Ma finalmente a Sala dei Cani la morfologia cambia.
Ci troviamo in un ambiente altissimo dove i raggi delle pile non riescono ad illuminare la volta dei camini; da qui comincia una serie molto bella di gallerie asciutte. Ad un certo punto ci troviamo a camminare sopra lo spigolo di grossi massi che ingombrano il fondo di un enorme condotto. Poco dopo c’è il «Pettine»; una galleria diritta con una serie di cunicoli per lo più chiusi che si dipartono da un solo lato. Claudio mi dice che in uno di questi c’è nascosto del carburo, viveri e sonnifero. Alla mia ovvia domanda risponde che serve a… dormire, quando si deve aspettare che una piena liberi i tratti sifonati del laminatoio. Dentro di me penso che è urgente trovare un secondo ingresso del complesso sotterraneo in questa zona onde evitare questo e permettere delle puntate di avanzamento meno massacranti e più sicure. Ma questa è un’altra storia. Arriviamo finalmente a risentire il mormorìo dell’acqua nella la Sala dei Tufi. Si tratta di una sala molto bella con una cascata che scende dal ramo attivo 5 metri più alto e un piccolo bivacco sulla sponda del laghetto. Questo bivacco è assai originale essendo stato costruito sfruttando ed addattando una concavità della parete tufacea e chiudendo solo due lati con un semplice telo, piantato con dei comuni chiodi da falegname sul soffitto di tufo. Altra sosta e pranzo sostanzioso. Io e Alfredo terminiamo le nostre riserve alimentari e guardiamo i nostri amici che tirano fuori dai « beauty » (i mini tubolari) un fornellino a gas e si preparano una ottima minestra di verdura. Hanno pietà di noi, poveri affamati, e ci invitano alla loro mensa ed è qui che mi rendo conto di come i beauty siano ben costruiti e razionali e come venga accuratamente imballata e stipata la roba da mangiare. Una lezione molto utile di rapporto spazio-volume. Riprendiamo l’avanzata mentre Alfeo e Beppe sostituiscono la scala che risale la cascata che dovrebbe essere malridotta. Lo è infatti visto che cede sotto il poco peso di Beppe che vola sostenuto dalla corda di sicura.
Procediamo in un bellissimo ramo attivo in erosione, con il pavimento occupato da enormi marmitte. Dopo un po’ siamo alla 2^ Sala dei Tufi. Claudio ci invita a risalire una breve parete ed arrivati alla sommità guardiamo allibiti lo spettacolo che ci si para davanti. C’è un alto camino perfettamente circolare del diametro di circa 8 metri il cui fondo è costituito da una enorme marmitta circolare profonda forse dieci metri, con l’acqua immobile e verdissima. Solo i cerchi che nascono sulla superficie dell’acqua ad opera delle gocce che cadono dal soffitto movimentano la scena. È meraviglioso. Scattiamo febbrilmente un paio di diapositive perché si fa tardi e dobbiamo riprendere l’avanzata. Superiamo la strettoia che ha portato alla riscoperta del ramo attivo nella sala chiamata « Settembre 74 » dalla data in cui è stata trovata e ci riuniamo ad Alfeo e Beppe che erano in paziente attesa dei « turisti ». Percorriamo il ramo attivo fino alla strettoia che Claudio e Maurizio avevano disostruito un anno prima con ben 7 ore di duro lavoro e scopriamo che è nuovamente intasata. Per fortuna c’è rimasto un piccolo pertugio che, allargato debitamente, permette al « piccolo » Beppe di superarla. Dal di là getta giù tutto ed in breve il passaggio è nuovamente agibile. D’ora in avanti è Rana nuovo per tutti fuorché per Claudio che aveva dato una rapida occhiata la volta precedente. Avanziamo correndo in un ramo percorso da un notevole torrente fino ad incontrare un affluente secondario. Prendiamo questo e lo percorriamo per un centinaio di metri di condotto meandriforme ben concrezionato fino ad arrivare ad un bel salone chiuso da una parete a « specchio di faglia » con sopra una serie di camini verticali. Guardiamo con gioia i piccoli particolari che denotano l’assoluta verginità di questi remoti recessi: i granellini di sabbia sovrapposti in precario equilibrio sottolineano che solo l’opera demolitrice della corrosione (atmosferica) ha contaminato finora queste antichissime gallerie; e le nostre impronte, le prime conosciute da queste argille ci ricordano le orme ben più famose di Armstrong, impresse indelebilmente nel suolo lunare. Fotografiamo un esemplare di concrezione abbastanza raro in quanto… si è rotta senza l’intervento umano. Era infatti cresciuta su terreno argilloso finché sotto il suo stesso peso, il troncone inferiore si è spostato lateralmente. Ma mentre noi siamo immersi in queste fantasticherie Alfeo e Beppe trovano una foglia di castagno ancora flessibile e ci congratuliamo con grandi pacche sulle spalle perché può voler dire solo che la superficie non è lontana. Peccato che siano le due di notte e quindi è inutile scrutare la volta dei camini per cercare qualche chiarore.
Decidiamo di sostare e bivaccare un paio d’ore. Dagli incredibili mini sacchi escono ancora viveri e possiamo mangiare qualcosa di caldo e dormire un po’. Ci svegliamo tutti quasi contemporaneamente a causa del freddo e dopo un buon té bollente ci rimettiamo in marcia per avanzare ancora lungo il ramo attivo principale. Dopo un centinaio di metri ci fermiamo davanti ad un sifone. C’è però un cunicolo asciutto parallelo e ci infiliamo dentro. Dopo qualche metro si alza nuovamente e ci sono dei camini e una finestra che sembra dare accesso ad un piano fossile superiore. Decidiamo di proseguire lungo il ramo attivo ma dopo un po’ constatiamo che malgrado la larghezza della galleria la volta si abbassa sempre di più. Soffia una corrente d’aria impetuosa. Certamente « la Rana » non è finita ma per avanzare bisogna immergersi completamente e nessuno si sente di effettuare il ritorno in condizioni disperate. Non ci resta neanche il tempo di risalire i rami superiori, dobbiamo invertire la marcia. Abbiamo constatato le nuove possibilità offerte dalla grotta e questo servirà per una prossima puntata con più tempo e ricambi asciutti da lasciare al bivacco in sala dei Tufi. Riprendiamo la marcia ma questa volta in senso contrario. Al bivacco in Sala Snoopy troviamo una intera famiglia di ghiri che gironzola nella fossa dei rifiuti. Anche questo posto non può essere lontano dalla superficie visto che i ghiri sembrano essere a casa loro. Noi però non siamo così vispi e non ci sentiamo affatto a casa nostra per cui dopo un’ultima occhiata al Ramo Nero, riprendiamo la nostra marcia verso l’ingresso che raggiungiamo all’una di pomeriggio di domenica, dopo venti ore di esplorazione nelle gallerie vecchie e nuove del Buso della Rana.