di Enrico Gleria
Tratto da Le Piccole Dolomiti – 1974
Il Ramo Nero è la diramazione più interna del Buso della Rana: scoperto circa due anni fa, ha inizio poco dopo il bivacco fisso installato recentemente, sviluppandosi per circa 1.500 metri. Poiché vari passaggi, con le piogge, vengono sommersi e resi impraticabili, l’esplorazione di questo ramo deve essere affrontata con le dovute cautele. Il ramo rappresenta infatti il collettore sotterraneo che raccoglie le acque della Val delle Lore, valle carsica chiusa tra il Monte Faedo e Monte Ulba, ed è quindi soggetto a piene improvvise e violente. La sua esplorazione, a parte una breve puntata nel ‘71, iniziata verso la fine dello scorso anno fino a tutto il ’73, è tuttora in corso. Le acque del ramo, discesa la sala del bivacco, proseguono fino a perdersi in un sifone (nei pressi della Zona Peep, ndw), quindi, percorso un tratto sconosciuto di circa 300 metri, ricompaiono sotto una frana (nel Ramo dei Sabbioni, ndw).
La scoperta del Ramo Nero risale al 3 ottobre 1971. Da un paio di esplorazioni continuiamo ad avanzare in una zona estremamente caotica della grotta, con un susseguirsi di biforcazioni, rami sovrapposti, strettoie e frane. Paolo Boscato e Pier Spiller sono in esplorazione e forzate alcune strettoie raggiungono un ramo percorso da una sensibile corrente d’aria, segno della presenza di ambienti più vasti. Dimenticata la fatica aumentano l’andatura; le difficoltà, che pur esistono nel proseguire, sembrano scomparire. È Pier ad accedere per primo nella sala, poi battezzata Sala Snoopy, e ad esprimere la sua soddisfazione con un lacerante urlo e una poderosa stretta di mano al compagno. Esplorata sommariamente la sala, i due individuano l’imbocco del Ramo Nero ma non ne iniziano l’esplorazione per mancanza di tempo.
17 ottobre 1971. Paolo e Giangi Boscato con Pier s’avventurano per la prima volta nel Ramo Nero, percorso da una discreta quantità d’acqua. Il tratto iniziale, dopo un passaggio in spaccata tra due pareti annerite da incrostazioni manganesifere il cui colore ha dato il nome al ramo, è malagevole perché costituito da un basso laminatoio, lungo un’ottantina di metri, che costringe a procedere con fatica. Segue la Sala Nera, un’ampia sala a pianta triangolare che si supera camminando sopra grossi banconi inclinati, mentre sulla sinistra l’acqua forma una cascatella di 2-3 metri. Un basso passaggio con l’acqua sopra il ginocchio e una frana sembrano bloccare la continuazione: Paolo si infila in uno stretto passaggio tra due blocchi e riesce a superare la difficoltà, non seguito dai compagni che preferiscono attendere al di là della strettoia. Percorre così da solo una quarantina di metri nel ramo che continua simile al tratto precedente, poi, raggiunti gli amici, prende la via del ritorno. In seguito una squadra formata da Enrico Gleria, Franco e Giampietro Farronato, prosegue, nell’ottobre dell’anno successivo, con il rilievo superando la prima strettoia e continuando per 60 metri in una galleria alta 2-3 metri, larga 5-6 e percorsa da un fragoroso torrente. Una nuova strettoia mette in difficoltà i rilevatori che procedono solo in esplorazione fino ad arrestarsi dinanzi ad un grosso fronte di frana che sembra bloccare completamente ogni prosecuzione. Si valuta il percorso fatto di uno sviluppo complessivo di 300 metri.
14 gennaio 1973. Procediamo ad esplorare e rilevare alcune diramazioni. La prima si trova a 5-6 metri d’altezza all’imbocco del Ramo Nero ed è già stata parzialmente esplorata da Paolo nel corso di una breve puntata. Enrico si arrampica, attrezzando con scaletta e procede con Maurizio Da Meda per tentare la scalata di una colata 25 metri più avanti. La salita è, in libera, troppo pericolosa per le pareti viscide e fangose, troppo lontane da permettere di salire in pressione. Rimandano la salita vista la necessità di mezzi artificiali. Dopo una sosta per mangiare a Sala Snoopy proseguono nel Ramo Nero fino alla strettoia dove si era arrestato il rilievo lo scorso ottobre. Esplorano una diramazione sulla destra che sbocca, dopo una sala di crollo fittamente fagliata, nel ramo attivo, consentendo di aggirare la scomoda strettoia. Procedono nel rilievo fino ad un’altra sala con specchio di faglia trasversale e grossi massi in bilico.
28 gennaio 1973. Disarmato il cunicolo superiore esplorato nella precedente spedizione Enrico con Alberto Comparin (Curci) procedono fino alla Sala Nera. Da qui passano in un’alta saletta segnata da faglia, che segue sulla sinistra, dove alla base di una conoide detritica, si accingono a scalare la superficie di faglia strapiombante con mezzi artificiali. Vogliono raggiungere un ramo fossile impostato sulla stessa faglia, che si scorge a circa 15 metri d’altezza. La arrampicata nel diedro, sulla verticale dell’alta apertura, non è conveniente perché la parete è formata da detrito di faglia troppo friabile e non in grado di sostenere i normali chiodi da roccia; devono quindi affrontare la superficie lisciata della faglia per traversare poi a destra a circa 10 metri d’altezza. Purtroppo dopo 5 metri la parete continua priva di fenditure o appigli e l’uso del percussore si rivela troppo laborioso. Devono quindi rinunciare. Disarmata la parete ritornano a Sala Snoopy dove attendono il resto del gruppo andato a rilevare la parte già conosciuta del Ramo Nero fino alla frana che bloccò la spedizione dell’ottobre del ’71. Qui Paolo al ritorno racconta d’essere riuscito a proseguire per alcuni metri tra i massi della frana intravedendo buone possibilità di prosecuzione che per mancanza di tempo non controllava.
1 aprile 1973. Raggiunta Sala Snoopy, procede il gruppo formato da Enrico, Franco, Sergio Degli Adalberti e Riccardo Voltan per forzare la frana attraverso il passaggio intravisto nella precedente spedizione. Giunti in questo punto senza particolari difficoltà Enrico risale i massi di crollo e osservando grossi ciotoli levigati dall’acqua ha la certezza di trovarsi in prossimità del pavimento di un ambiente sovrastante al di là della frana e di essere quindi sulla buona strada. Sergio, allarga con la mazzetta un passaggio triangolare di 30 centimetri che immette in un ambiente più vasto. L’esplorazione continua. Superata la strettoia risalgono a sinistra in una grande sala interessata da varie faglie responsabili di crolli locali e della stessa frana. Più avanti ritrovano il torrente e si infilano in un laminatoio che va gradatamente innalzandosi mentre dal soffitto pendono numerose concrezioni. Proseguono nel ramo attivo sempre con più grande emozione lasciando, sia a destra che a sinistra, diramazioni e ambienti di crollo. Giungono così alla base di una cascata alta circa 5 metri che alimenta le acque profonde di un laghetto. Enrico supera a destra prima traversando poi sfruttando come appiglio uno spuntone che divide la cascata, dotato superiormente di due buone maniglie. Sergio lo segue mentre Franco e Riccardo preferiscono attendere alla cascata. Risalgono in una sala camminando sopra grossi banconi e dopo 15 metri ridiscendono a sinistra nell’acqua che scompare però dopo pochi metri in un cunicolo a sifone. Pensano subito di poterlo evitare risalendo su alcuni cunicoli fossili che si scorgono superiormente ma il tempo stringe e sono costretti a tornare dagli amici in attesa di notizie.
19-20-21 aprile 1973. Dopo aver bivaccato la notte nel Ramo delle Muffe, piccola diramazione che si apre nella parte alta di Sala Snoopy, Paolo ed Enrico partono alle 11:15 del 20 aprile alla volta del Ramo Nero. Il livello dell’acqua è lievemente al di sopra delle misure normali. Dalla strettoia forzata nella precedente spedizione, iniziano il rilevamento. Giunti alla fine del ramo esplorato abbassano in un’ora di lavoro il livello dell’acqua di una decina di centimetri. Enrico procede nel condotto semi-allagato constatandone l’occlusione dopo soli 8 metri. Anche i cunicoli sovrastanti che sembravano dare qualche speranza si rivelano ostruiti. Quando ormai disperano di poter continuare Paolo, seguendo la parete di faglia dell’ambiente sovrastante il condotto, supera uno stretto passaggio e si blocca in una strettoia con forte corrente d’aria ormai sicuro d’aver trovato la continuazione. Dopo aver tentato invano di superarla prova Enrico che si incastra a sua volta passando un brutto quarto d’ora. Solo dopo vari sforzi si accorge che il grosso masso che gli blocca il bacino non è ben assestato; con un ultimo rabbioso sforzo lo fa rotolare più in là liberandosi dalla difficile posizione. Risalito in una sala, sente in lontananza lo scroscio dell’acqua, l’esplorazione dunque continua.
Allargata la strettoia a colpi di mazzetta passa anche Paolo: non appena allontanati un grosso masso va a cadere proprio sulla soglia dello stretto passaggio, un breve commento… Continuano rilevando la parte inesplorata. La sala, alla luce delle lampade a carburo, sprofonda a destra tra un caos di detriti. Proseguono alti, sulla sinistra, arrivando alla base di un alto camino fino ad arrestarsi bruscamente. Scorgono un’apertura a sei metri d’altezza ma preferiscono scendere nella parte inferiore della sala per proseguire lungo il ramo attivo. Sceso un dislivello di circa sei metri, ritrovano l’acqua ma per proseguire, dovendo attraversare a nuoto un vasto bacino, decidono di tentare la salita del ramo alto. Risaliti per alcuni metri incastrati in una fessura, non potendo sfruttare gli appigli troppo deboli, escono in una sala con le stesse caratteristiche della precedente e la percorrono per circa 20 metri fino ad uno spigolo formato da uno specchio di faglia. Scendono sulla destra muovendo sassi male assestati e ritrovano ben presto il corso d’acqua. Arrivano così in una saletta circolare in cui l’acqua esce da una stretta fessura impraticabile. Enrico va alla ricerca di un passaggio superiore e salito su una terrazza a tre metri d’altezza trova alcuni cunicoli. Tuttavia, ormai stanchi, preferiscono prendere la via del ritorno. Alla cascata constatano il preoccupante aumento del livello dell’acqua che già ha ricoperto tutti gli appigli e che costringe ad un bagno improvviso. Solo più avanti, nel laminatoio, l’acqua ha raggiunto livelli allarmanti.
(Vedi anche il racconto di Paolo in “La fuga“)
31 maggio 1973. Dopo una faticosa marcia d’avvicinamento alla zona operativa arriviamo nella saletta, ultimo caposaldo esplorato. La nuova spedizione è composta da Paolo, Enrico e Dario Zampieri per il rilevamento, Pier e Maurizio per l’esplorazione. Enrico, attraverso uno stretto passaggio, poi allargato, risale nel punto dove aveva notato possibilità di continuazione e scorto un ramo fossile che prosegue nella stessa direzione del ramo attivo si inoltra con Maurizio esplorandolo per circa 60 metri e raggiungendo il corso d’acqua. Ritornano nella saletta dove la squadra di punta parte in esplorazione. I due gruppi si ritrovano in prossimità di un bivio: le punte raccontano d’aver percorso circa 150 metri di galleria fino ad una grande e bella sala dove il ramo attivo continua al di là di una cascata il cui accesso non è raggiungibile con i mezzi al momento disponibili. I tre rilevatori proseguono quindi nel ramo attivo che procede a bruschi gomiti con cascatelle e profonde marmitte. È chiara l’impraticabilità di questo tratto durante le piene: l’erosione è visibile lungo tutte le pareti e non senza emozione avanzano nel tortuoso cunicolo. Un passaggio in cui per procedere è necessario fare pressione con gomiti e ginocchia, mette in difficoltà Dario, alla sua seconda spedizione nella Rana che viene prontamente aiutato da Paolo. Oltrepassano una biforcazione, camminando sempre nell’acqua mentre il soffitto tende ad alzarsi. Superati alcuni crolli in prossimità di una faglia visibile a sinistra, entrano in una sala (Sala dei Tufi, ndw), quella descritta dagli amici, che si preannuncia dal rumore della cascata. L’acqua esce da una fessura impraticabile a 3 metri d’altezza mentre due metri più in alto sono visibili due finestre, l’inferiore pure attiva. Nella seconda parte della sala affiora un’interessante fascia di rocce piroclastiche dello spessore di circa 150 centimetri, che si sviluppa lungo la parete per almeno 15 metri. Appena sopra, dove il soffitto è basso, pendono esili capelli d’angelo. Nell’ultima parte si scorgono tre, diramazioni, una di piccole dimensioni e scarsamente attiva, le altre due contrapposte e in parete. Enrico con l’aiuto degli amici risale sopra un ponte che riporta di fronte alla cascata, poi tenta di salire in un ramo a destra ma rinuncia perché sprovvisto di staffa. Terminato il rilevamento della sala verso le 16 riprendono la strada del ritorno.
8 agosto 1973. Il gruppo con Enrico, Maurizio e Tita Gleria oltrepassa la sala della Scritta e raggiunge il Ramo Nero. Al bivio prima dell’ultima cascata i tre avanzano in un cunicolo con pavimento argilloso e risalgono in una sala con specchio di faglia molto visibile che si sviluppa a dèstra per circa 15 metri. Continuano sulla sinistra: Maurizio si infila in un cunicolo molto concrezionato che percorre per almeno 30 metri. Dopo un gomito che piega a sinistra si trovano al di sopra del ramo attivo già percorso, in un punto non individuato vista l’impossibilità della discesa. Ritornano sui loro passi ed esplorano un cunicolo che li riporta a scendere una decina di metri prima della cascata. Qui studiano il modo per raggiungerne la sommità. Prova Maurizio. Salito sulle spalle di Enrico raggiunge un cornicione, aggira, salendo di tre metri e ridiscendendo, uno spuntone di roccia. A questo punto sopra la stretta fessura che esaurisce la magra portata del ramo passa sulla finestra strapiombante spostata sulla destra di circa un metro. Sistemata una scaletta sull’apertura superiore e fatti salire gli amici, proseguono assieme lungo il ramo attivo superando alcune profonde marmitte. Il ramo con bruschi gomiti sbocca dopo una trentina di metri in una sala interessata dagli stessi fenomeni della precedente: l’affioramento dei tufi e un’altra cascata (Seconda Sala dei Tufi, ndw). Più avanti a sinistra scorgono un corridoio di grandi dimensioni ma sono subito arrestati da un lago circolare dalle pareti strapiombanti (Ops, ndw). Il suono cupo di un sasso gettato nelle sue acque si confonde con il fragore della vicina cascata. Enrico stima la sua profondità di almeno 8 metri e il diametro di 4-5. Nella sala, risalgono sopra il grosso macigno sul quale si infrange la cascata ed iniziano ad armare con chiodi a pressione la parete ma il lavoro, data la scomoda posizione e l’esposizione ai continui spruzzi della cascata, si rivela troppo lungo e faticoso. La squadra si avvia dunque verso l’uscita della grotta.
Nel frattempo Paolo e Pier, terminata l’esplorazione di un pozzo, entrano nel Ramo nero per rilevare qualche cunicolo laterale non esplorato. Si fermano così a circa mezzo chilometro dall’imbocco, ai piedi di una ripidissima frana sopra la quale, a venti metri dal torrente, la grotta sembra continui. Sale per primo Pier saggiando attentamente gli appigli e provocando continue e rumorose frane. Sbuffando, raggiunge la cima e invita l’amico a salire, pare la grotta continui davvero. Gran simpaticone quel Pier. È quel che si dice l’uomo di punta ideale: fisico roccioso, carattere burbero e allo stesso tempo cordiale, pronto a spogliarsi pur di passare una strettoia e togliersi magari la cinghia dei pantaloni per assicurare il compagno. Ora è Paolo impegnato nella salita. Un paio di metri e una grossa pietra gli passa fischiando a pochi centimetri dalla testa. Un’imprecazione e un «non so sta mi» di Pier che là in alto, illuminato dall’acetilene, sembra un orco. Paolo, tra scariche di pietre, raggiunge l’amico e questi, con un sorriso compiaciuto: «Varda qua!», alza i piedi e un masso di qualche tonnellata rotola giù dalla frana con un fragore assordante, muovendo migliaia di altre pietre là dove un minuto prima i due erano impegnati nella salita. Con il rilievo, gli amici sbucano poi, seguendo uno dei rami alti, proprio sopra la prima cascata evitando così la discesa della famigerata frana…
6-7 ottobre 1973. Paolo e Enrico giunti in circa sette ore di cammino carichi di materiale nella Seconda Sala dei Tufi procedono al montaggio del palo da scalata il cui trasporto ha notevolmente allungato i tempi di marcia e indebolito la forze. Esso è costituito da tre tubi di durai, sei centimetri di diametro, ciascuno lungo due metri e quindi notevolmente ingombranti negli stretti passaggi della grotta. Un tubo porta ad un’estremità l’attacco per due moschettoni, gli altri due invece sono forniti di incastri a bicchiere per poter essere montati. Si ottiene in tal modo una solida pertica di sei metri con attacco per scaletta e fune di sostegno alla sommità. L’attrezzo consente di risalire senza particolari difficoltà in cunicoli altrimenti inaccessibili. Recuperata la scaletta nella cascata precedente e montato il palo da scalata decidono di affrontare per primo il ramo fossile, visto che l’attivo getta molta più acqua del solito e la doccia gelida è assicurata. Sperano che questo ramo consenta di evitare la salita della cascata collegandosi direttamente all’attivo. Purtroppo, dopo poche decine di metri in un ampio ambiente trovano una faglia e la relativa occlusione a seguito di un imponente fronte di frana. Vano è ogni tentativo di trovare un passaggio. Tornano nella sala rassegnati di non poter più evitare il temuto bagno. Sale per primo Paolo mentre Enrico assicura la stabilità del palo. Passaggio delle sacche con il materiale e delle lampade a carburo, fissaggio della scaletta ad un chiodo. Ora tocca ad Enrico. La sua lampada frontale elettrica cessa di funzionare proprio sotto lo scroscio d’acqua. Indugia qualche minuto alla ricerca degli scalini sempre sfuggevoli al buio, quel che basta per una completa inzuppata. I due continuano completamente bagnati per una quarantina di metri, convinti di non trovare nuove difficoltà, ma dopo una serie di cascatelle che risalgono arrampicandosi sulla roccia scivolosissima, si trovano bloccati da una frana costituita da grossi blocchi incastrati tra le strette pareti. L’acqua esce e scorre, da tutte le parti. Fradici, assonnati, sono circa le quattro di notte, stanchi e forse anche un po’ delusi decidono di anticipare il ritorno per non farsi sorprendere troppo dalla stanchezza. Escono dopo oltre 15 ore di permanenza in grotta mentre il cielo si rannuvola preannunciando il cattivo tempo.
3 novembre 1973. Il gruppo composto da Paolo, Maurizio e Dario arriva alle 11 circa al bivio che precede la prima Sala dei Tufi dove iniziano il rilevamento dei rami esplorati lo scorso agosto. Terminato il rilievo di questa zona, i tre continuano il rilevamento dalla cascata fino al ramo superiore fossile già esplorato, nella Seconda Sala dei Tufi, sempre avvalendosi del palo da scalata. Quindi Paolo e Maurizio passano a rilevare il ramo attivo. Risaliti al di sopra della cascata, rilevano sino alla frana. A questo punto Paolo intravede a circa 10 metri dall’acqua un passaggio forse comunicante con una sala superiore ma arrivato a circa 7 metri, ritiene opportuno non spingersi oltre per non rompersi l’osso del collo. Ritornando verso la cascata, i due si infilano a sinistra in uno stretto cunicolo già individuato nella scorsa spedizione che continua più in alto anche nella parete opposta del ramo attivo. Questo cunicolo è caratterizzato dall’essere completamente asciutto per un tratto di una ventina di metri. Al suolo trovano alcuni insetti morti e ben conservati e lo stereo di qualche roditore. Proseguendo, si calano per tre metri in una saletta con abbondante deposito di fango. Da qui cominciano a sentire chiaramente il rumore di un corso d’acqua e dopo pochi metri sboccano nel ramo attivo già percorso, tra la prima e la seconda Sala dei Tufi. Piombano così alle spalle dell’impaziente Dario, in attesa sotto il palo da scalata, che tutto si attende ma non una così brillante manovra d’aggiramento da parte degli amici. Presa la via del ritorno, sono all’uscita della grotta alle 21,10.