ESPLORAZIONI AL BUSO DELLA RANA dal ’69 al ’75
di DARIO ZAMPIERI (Gruppo Grotte « G. Trevisiol » CAI Vicenza)
tratto dalla rivista Stalattite, anno X, 35-38, 1975
Dopo l’interruzione dovuta al secondo conflitto mondiale, per iniziativa del gruppo grotte del Museo Civico di Storia Naturale di Verona, ripresero gli studi e le esplorazioni al Buso della Rana. Il ridestato interesse per la grotta permise la ricostituzione nel 1954 del gruppo grotte del C.A.I. di Vicenza. Il lavoro coordinato del gruppo vicentino e di quello veronese, col contributo degli speleologi del C.A.I. di Schio, portò alla pubblicazione, nel 1960, di una monografia sul Buso della Rana, che, oltre ad essere la più lunga grotta del vicentino, era nel frattempo diventata una tra le prime cavità d’Italia per sviluppo.
Benché allora fosse certezza comune la possibilità di nuove scoperte, fino al 1968 non accadde nulla. In quell’anno una spedizione del gruppo « G. Trevisiol » superò nuovamente il sifone terminale del ramo omonimo. Dopo un’ottantina di nuovi metri l’esplorazione si concluse alla base di una cascata di 5 m.
Le ricerche ebbero un impulso che doveva dare frutti ben al di là di ogni aspettativa, quando il 5 gennaio 1969 una squadra animata da A. Broglio tentò di avanzare nell’unico punto che a tavolino dava la certezza di continuazione, cioè il Ramo Attivo di Destra. Dopo la Sala della Scritta la galleria terminava contro una frana dai blocchi di notevoli dimensioni, tra i quali esce in tempo di magra un filo d’acqua. A. Galla, infilatosi tra i massi, trovò un passaggio verso l’alto che immette in un vasto ambiente, più tardi chiamato Sala Pasa. Seguendo il corso d’acqua lungo un condotto a laminatoio molto basso, il gruppo arrivò ad un bivio al quale confluivano due rami entrambi attivi. Questa fortunata spedizione si fermò qui, ma due settimane più tardi il gruppo giunse al gran completo. Una squadra di tre uomini infilò il ramo di sinistra, mentre il grosso del gruppo proseguì lungo il ramo con maggior apporto di acqua. Entrambi ebbero fortuna: il primo gruppo individuò ben tre rami distinti (Rami di Sinistra) con sviluppo pressoché parallelo, di cui esplorarono completamente quello centrale (Ramo delle Colate), che è il più breve e il più facilmente percorribile, in quanto è tutto impostato lungo una linea di faglia; il secondo gruppo, dopo aver superato il «Laminatoio», tratto particolarmente basso (50 cm.) col fondo sempre allagato, proseguì per un notevole tratto lungo il ramo attivo senza incontrare particolari difficoltà, fino a una saletta in cui lasciò una targhetta metallica con incisa la data.
Si trattava effettivamente di un momento «storico» nella cronaca delle esplorazioni della grotta, che come vedremo era entrata in una nuova ed esaltante fase. Con la successiva spedizione del gruppo, effettuata dopo soli 10 giorni, incominciò la descrizione e il rilievo topografico dei nuovi rami scoperti, mentre due speleologi avanzarono ancora nel Ramo delle Cascate, che è il primo dei tre rami di sinistra. Due settimane dopo, fu raggiunto con delusione un sifone che poneva termine anche a questo ramo. In marzo, mentre il gruppo del rilievo arrivava a Sala Ghellini, nel ramo principale di destra, P. Pretto e P. Spiller scoprirono prima di questa un passaggio che porta a un sistema di rami fossili superiore (Ramo dei Camini). Altre due spedizioni furono dedicate alla descrizione dei nuovi rami. Il necessario lavoro di documentazione delle scoperte fatte ne rallentò il ritmo, ma queste erano ben lungi dall’essere esaurite. In agosto proseguì l’esplorazione dei nuovi rami fossili, e tutte le successive spedizioni dell’anno operarono con il rilievo e brevi avanzamenti in questa zona.
Col 1970 ripresero le esplorazioni all’ultimo dei tre rami di sinistra che non era stato percorso fino ad esaurimento. A. Galla ed E. Gleria forzarono con la mazzetta la strettoia che li aveva fermati ancora un anno prima, e avanzarono rilevando fino ad una cascata di alcuni metri. Alla successiva spedizione fu risalito un diedro accanto alla cascata. Per esplorare completamente il ramo fu tuttavia necessaria un’altra spedizione. In sostanza fu questo il solo risultato di quell’anno, nel quale si registrarono solo quattro spedizioni al Buso della Rana.
Lo scarso lavoro del 1970 riflette in parte la crisi interna del gruppo, che vide il progressivo disimpegno della generazione che aveva fin qui condotto ricerche di buon livello, testimoniate da numerose pubblicazioni. Del resto il formidabile avanzamento nella cavità imponeva un nuovo stile di esplorazione, ma soprattutto richiedeva uomini giovani in grado di superare passaggi sempre più stretti, pareti di roccia, corridoi in pressione. Da questo momento per due anni le squadre furono composte quasi sempre da E. Gleria, P. e G. Boscato, A. Girardi, P. Spiller, con comparse occasionali di amici. Frattanto, esaurita la possibilità di facili scoperte, rimaneva da fare un’importante lavoro di rilevamento topografico. Ora si avanzava in genere rilevando, per non dover successivamente perder tempo sugli stessi luoghi, ma soprattutto per riuscire a districarsi nel caos di nuove biforcazioni, di rami sovrapposti, di anelli, di possibili scorciatoie.
Nel giugno del 1971 la scoperta di un nuovo passaggio permise l’avanzamento lungo un sistema fossile sulla destra della Sala Ghellini. E in ottobre, all’uscita da un labirinto, P. Spiller e P. Boscato sbucarono in un grande ambiente con acqua corrente, battezzato sulla carta Sala Snoopy, per la forma caratteristica della pianta (Le Piccole Dolomiti 1974).
L’incontro di un corso d’acqua costituisce sempre un avvenimento importante, perché è lungo questi che è possibile penetrare notevolmente nella massa calcarea. Nella spedizione successiva iniziò l’esplorazione del ramo attivo, più tardi chiamato Ramo Nero, confluente nella nuova sala. Una dura strettoia, superata da un solo uomo, rallentò temporaneamente l’avanzamento in questa direzione e la volta successiva furono esplorati contemporaneamente due rami a valle di Sala Snoopy, uno attivo e l’altro fossile.
Nel 1972 altre due spedizioni furono dedicate al rilievo e alla prosecuzione lungo questi rami che si esaurirono abbastanza presto con sifone o contro una frana. In luglio fu scoperta un’importante prosecuzione nella zona fossile tra il Ramo Attivo di Destra e il Ramo Nero. Fu esplorata nella spedizione seguente e fu battezzata Ramo della Faglia, per la comparsa, del resto frequente in questa grotta, di una lunghissima e spettacolare parete costituita da uno specchio di faglia.
Nel 1973 riprese l’esplorazione del Ramo Nero, arrestata contro una frana. Notevoli difficoltà di roccia impedirono nel corso di due spedizioni l’avanzamento in cunicoli fossili che si aprono in alto, ma in compenso fu intravista una prosecuzione fra i blocchi della frana, che fu però superata due mesi più tardi.
Boscato, A. Girardi, P. Spiller
Alla fine di aprile E. Gleria e P. Boscato arrivarono da soli a Sala Snoopy trascinando faticosamente grossi sacchi che per la prima volta contenevano il necessario per bivaccare. Il giorno seguente, relativamente riposati, si inoltrarono nel Ramo Nero. Dopo 250 m. di rilievo del tratto già conosciuto, avanzarono per altri 120 m., forzando una pericolosa strettoia, sulla cui uscita crollò un pesante masso un istante successivo al passaggio di P. Boscato. L’aumento notevole del livello dell’acqua li costrinse a una precipitosa fuga verso l’uscita della grotta.
Alla fine di maggio, mentre un gruppo avanzava rilevando con bussola e cordella metrica, M. Da Meda e P. Spiller in avanscoperta, dopo aver percorso 150 metri inesplorati, arrivarono alla Sala dei Tufi, così chiamata per via degli affioramenti di roccia vulcanica. Qui le pareti si vanno restringendo verso l’alto e una cascata precipita da 5 m. di altezza, lasciando prevedere una continuazione.
A questo punto le esplorazioni si facevano sempre più lunghe e faticose a causa della marcia di avvicinamento che si andava prolungando di volta in volta. Fu deciso di costruire un bivacco fisso in un punto della grotta che fosse abbastanza avanzato, ma non tanto da rimanere isolato dall’esterno nel caso di piene dovute a piogge impreviste durante i giorni di permanenza nella cavità. La scelta cadde ovviamente sulla Sala Snoopy, ambiente molto grande, con acqua corrente, situato proprio all’imbocco del pericoloso Ramo Nero. In realtà, con precipitazioni prolungate alcuni passaggi a valle vengono completamente sommersi, impedendo il ritorno all’esterno, ma questa situazione non dura più di qualche ora, e il bivacco, dotato di riserve di viveri e di carburo per l’illuminazione, avrebbe permesso di attendere senza drammi. Così nel giugno iniziarono i lavori di allestimento del bivacco (Le Piccole Dolomiti 1973 n. 3).
In agosto M. Da Meda riuscì a superare la paretina strapiombante della Sala dei Tufi, che fu attrezzata con scaletta fissa. Dopo una trentina di metri il gruppo sbucò in un ambiente con le stesse caratteristiche del vano precedente, che fu per l’appunto chiamato Sala II dei Tufi. Per superare la nuova parete aggettante fu portato all’interno un palo da scalata smontabile in tre pezzi, su cui fissare la scaletta. Ma una ennesima frana bloccava dopo pochi metri il ramo attivo.
Nella settimana prima di Natale fu preparata una spedizione in grande stile per oltrepassare questo nuovo impegnativo ostacolo. E. Gleria e F. Farronato, dopo aver trasportato fino al bivacco il necessario per la permanenza di alcuni giorni, si inoltrarono fino all’estremo limite della grotta, ma non riuscirono a trovare alcun punto debole tra i massi. Avevano però raggiunto la certezza che al di là il cunicolo si allargava con una nuova sala. Il giorno seguente furono raggiunti da P. Boscato, P. Spiller, D. Zampieri, mentre ancora indugiavano al caldo dei sacchi di piumino.
Alla seconda notte un fragore di acqua e sassi smossi interruppe improvvisamente il sonno dei cinque. Era chiaro che fuori pioveva incessantemente già da alcune ore e che l’intero sistema idrico della grotta era in fase di piena. Grazie all’esistenza del bivacco fu così possibile osservare per la prima volta il terrificante aspetto di una piena e seguirne l’evoluzione nel corso di parecchie ore, ma intanto era saltato lo scopo della spedizione. Ritornando verso l’uscita uno dovette traversare a nuoto il laghetto di Caronte per recuperare il canotto sbattuto dall’altra parte dall’ondata di piena. Alla fine dell’avventura i due speleologi entrati per primi avevano trascorso 130 ore senza vedere la luce del sole.
Il 1974 vide andare a vuoto per una serie di inconvenienti un’altro tentativo alla fine del Ramo Nero.
Maggio fu il mese del primo grave incidente al Buso della Rana. Ne fu vittima S. Bodin, appartenente al gruppo di Padova che imprudentemente andava a curiosare tra i cunicoli da noi tralasciati perché tecnicamente difficili. Nel trattenere con la corda il volo del primo che saliva per un camino, fu trascinato nel vuoto per non essersi a sua volta ancorato alla piazzola, riportando la frattura della base cranica che lo portò ad uno stato di coma durato parecchi giorni.
Due spedizioni furono poi effettuate in fondo al Ramo Trevisiol per avanzare di pochi metri oltre la cascata raggiunta dalla spedizione del 1968.
In settembre M. Da Meda e C. Barbato, durante una lunga spedizione di 75 ore, riuscirono finalmente a superare la frana che poneva termine al Ramo Nero. Sbucarono in un ampio vano, battezzato Sala Settembre, e intravidero alcune prosecuzioni.
Nel marzo del 1975 E. Gleria e F. Farronato si recarono sul luogo dell’incidente accompagnandovi lo stesso S. Bodin, che con prudenza ritornava in grotta per superare le conseguenze psicologiche del trauma subito. Dalla piazzola da cui questi era caduto, i primi due salirono ulteriormente di una trentina di metri, usando i chiodi a espansione posati in una precedente spedizione. Da qui, a circa 60 m. dal piano di base, il ramo ascendente continuava verso l’alto con pareti liscie a forma di campana.
Frattanto un’altra grossa spedizione si stava preparando per risolvere gli interrogativi posti dalla scoperta della Sala Settembre. E in aprile un nutrito gruppo guidato da M. Da Meda arrivò in fondo al Ramo Nero allestendo un nuovo bivacco alla prima Sala dei Tufi (Le Piccole Dolomiti 1975). In breve un solo angusto cunicolo sembrò continuare, ma dopo poco più di un centinaio di metri una nuova strettoia concrezionata sbarrò il passo. Ed è qui che sembrano morire le speranze che hanno sostenuto questa intensa attività negli anni dopo la scoperta del 1969.
Da quel momento ai 4000 m. di grotta conosciuta se ne sono aggiunti altri 7500. Altri gruppi speleologici hanno però operato in zone meno avanzate della grotta, in particolare il « C.S. Proteo » di Vicenza, cui si deve la conoscenza di circa 1500 m. di gallerie. Complessivamente lo sviluppo attuale della grotta raggiunge i 13000 m., misura che mantiene il Buso della Rana in posizione di rilievo nella classifica delle cavità italiane.
Certamente esistono numerosissimi cunicoli di minori dimensioni e di minore importanza ancora da esplorare o da cartografare, ma è un lavoro poco attraente, perché non sorretto dalla speranza di nuove scoperte importanti. Una valida indicazione viene infine dalle esplorazioni e dagli studi fatti nella zona dei Camini e nel ramo ascendente dell’incidente. Pressoché esaurita la possibilità di penetrazione lungo il livello di scorrimento orizzontale, molto rimane ancora da fare per penetrare la zona vadosa di percolazione delle acque assorbite in superficie; ma si tratta di un lavoro da specialisti in arrampicata artificiale, che richiede una preparazione specifica.