testo di Renato Gasparella, Centro Studi del Priaboniano
tratto dagli atti del convegno “Folclore, immaginario popolare e grotte” organizzato il 27-28/11/1993 dal Gruppo Grotte CAI Schio
La scena immaginaria, ma attendibile, si svolge intorno al 1500 nella contrada Chèrle del comune Berg Maladi costituito nel 1496. “Berg” nel linguaggio teutonico delgi abitanti, tutti Cimbri immigrati dalla Baviera, significa “monte” dacui deriverà il nome definitivo di “Monte di Malo”.
Nella cucina di una misera casupola tutta “sgrepanà” e coperta di paglia, due ragazzotti dalla bionda chioma e dagli occhi cerulei si rifocillano dopo le durissime fatiche dei lavori campestri e si scambiano furtive occhiate d’intesa: finito di tracannarsi la zuppa di fagioli, andranno a godersi uno spettacolo eccezionale.
Detto fatto: “governano” in fretta le bestie e via … su per il torrente che esce dalla grande caverna “ràuna”, cioè della parete rocciosa, dotata di una cengia utilizzata dai boscaioli. Oggi “Buso della Rana”. Giunti in prossimità di un limpido “boijòlo”, si acquattano dietro una siepe e preparano una lunga “bachéta” diritta e resistente.
Il sole è tramontato da un pezzo ed i due giovani attendono frementi il momento tanto sognato: l’uscita delle anguane.
Finalmente, tra il leggero stormire delle foglie mosse dalla brezza, avertono una dolcissima voce femminile che canta melodiosamente. Poi un’altra, un’altra ancora, quindi un coro.
Non è dato di sapere se eseguissero un antico motivo dei giullari, un “va pensiero” o un brano dei Pink Floyd. L’importante era il modo di cantare con un’espressione capace di mandare in tilt le fibre cerebro-nervose anche dei giovanotti più duri ed incalliti.
Eccole, avvolte in una luce diafana, fredda, trasparente. Scendono al “boijòlo”, ridono, cantano, si lanciano spruzzi d’acqua, lavano la biancheria, la battono sui grossi prismi di nero basalto e danzano leggiadre e gioiose. I nostri spettatori non toccano neppure il suolo per l’emozione e fremono di stupore, ammirazione, desiderio. I loro cuori tambureggiano maledettamente facendo batteria a quel coro misterioso.
Come restare indifferenti alla vista di quelle membra armoniose, delle bionde trecce, degli occhi glauchi, insomma … di quelle stupende ninfe delle sorgenti o “deae anguane”, da cui deriva il nome di “anguane”?
I nostri ardimentosi cimbri vorrebbero toccarle, baciarle, stringerle al cuore ed intrecciare con loro una eterna danza d’amore, ma vengono trattenuti da qualcosa di repellente: le estremità inferiori di quelle splendide Miss non sono piedi, ma zoccoli caprini scuri e pelosi. C’è qualcosa di poco chiaro, o melgio, di losco.
Ormai sazi di contemplarle dalla caviglia in su e di ascoltare i loro canti già reperibili i commercio su compact disk, i giovani tentano un esperimento: fissano alla lunga “bachéta” una medaglia benedetta e, manovrando cautamente dal loro rifugio, toccano una delle misteriose fanciulle.
Colpo di scena! O meglio, corto circuito! Al tocco dell’oggetto sacro, scocca un lampo accecante e le dolci anguane scompaiono in un gigantesco nugolo di fumo rossastro che diffonde nell’aria un fetido odore di uova marce e di zolfo.
Lo spettacolo è finito ed i due “dissacratori” si avviano verso casa commentando la loro sconvolgente esperienza.
Approfondimento
Fino agli anni ’60 era ancora molto radicata la convinzione sull’esistenza delle anguane che, nel Ramo Destro dell’Ingresso del Buso della Rana, avrebbero avuto una loro saletta adibita a cucina e corredata di tavola e secchi per attingere l’acqua. In realtà la tavola era una sporgenza della roccia calcarea ed i secchi, alcune tozze stalagmiti cave contenti acqua.
La credenza delle anguane potrebbe affondare le proprie radici nelle ninfe delle sorgenti e dei corsi d’acqua, caratteristiche di varie mitologie, in particolare quella greco-romana.
Altra convinzione, molto radicata, riguardava la “estinzione” delle anguane e di tutti loro parenti: infatti orchi, streghe, fate, salbanei, ecc. sarebbero stati definitivamente relegati nei tenebrosi antri infernali dal Concilio di Trento (1545-1563).
Va ricordato che nel versante orientale del M. Sisilla, presso Tomio di Malo, si apre il “Buso delle Anguane”, una piccola cavità carsica nelle cui adiacenze sono state raccolte centinaia di manufatti litici risalenti al tardo neolitico (circa 5000 anni fa).
Il filmato sulle anguane girato dall’S-Team per il documentario “Rana-Pisatela 40 km“.