Racconto di Valentino De Zen, tratto da Papesatàn 2010-2018 – 50° del GSM
Forse per un eccesso di prudenza e zelo il mio approccio con il Buso della Rana è stato caratterizzato da un certo timore reverenziale, infatti per entrarci ho atteso di fare il corso d introduzione alla speleologia (anche se le occasioni per farci visita da turista non erano mancate).
Uscita dopo uscita però cresceva la voglia di andare più in là, del resto si sa che l’appetito vien mangiando. Nel mio curriculum, alla voce Buso della Rana al momento potevo annoverare un paio di puntate alla Colata Bianca con visita al sifone, un giretto al Ramo Messico… Verde… Ponticelli… un’uscita in solitaria per il Principale a “fare orientamento” e altre cose minori. Ma senza mancare di rispetto a nessuno, gli speleologi “quelli veri” vanno oltre.
Così ho cominciato a pensare che per fare sul serio cosa ci sarebbe di meglio che una bella traversata passando per la, per me ancora inesplorata, Pisatela? Detto fatto, durante una colazione con “il presidente” abbiamo deciso di immolare un tiepido e assolato 8 Dicembre al sacro altare della speleologia e fendere così le profonde oscurità della grotta.
Arriva il fatidico giorno e recuperata l’attrezzatura in magazzino, si entra ormai di non primissimo mattino, un po’ perché, di proposito, ci eravamo risparmiati una levataccia, un po’ perché, meno di proposito, poco prima, alla partenza da casa, io ero riuscito a dimenticarmi dove avevo riposto gli stivali ripiegando, dopo interminabili minuti di ricerca, sull’utilizzo degli scarponi.
Il livello dell’acqua è straordinariamente basso (e non potrebbe essere altrimenti in un autunno così anomalo) ma la cosa non mi risparmia dal bagnarmi i piedi già appena dopo il Trivio. Decidiamo di variare l’ormai canonico tragitto per Sala Snoopy con un passaggio per Sala da Pranzo e Ramo Morto, tanto per cominciare con gli inediti.
Poi via per Sala della Scritta, Sala Pasa, buca delle lettere di Sala Ghellini, Conoide e Sala Snoopy; nomi e luoghi che cominciano a diventarmi familiari anche se non riuscirei ancora a percorrerli con sicurezza in solitaria.
Fatta una breve sosta ci incamminiamo verso il Ramo Nero. Sarà l’emozione della prima volta, la meraviglia di uno degli scorci più belli della Rana o più banalmente la suola degli scarponi troppo rigida, ma nel passaggio aereo che sovrasta una pozza all’ingresso del ramo scivolo arrivando a sfiorare l’acqua e non so facendo appello a quali forze riesco ad evitare un fragoroso bagno.
Procediamo spediti (per modo di dire… ogni tanto Matteo mi sparisce da davanti lasciandomi con la sensazione di essere una zavorra) verso Sala dei Cani, con un po’ più di circospezione superiamo il Pettine fino ad arrivare alla Sala dei Tufi dove ci rifocilliamo con quello che dovrebbe essere il pranzo. Infilato l’imbrago raggiungiamo il famigerato Lago d’Ops e percorriamo il traverso per superarlo; nel farlo le sensazioni che ho dagli scarponi sono pessime, mi pare di scivolare ad ogni passo, ma riesco ad uscirne indenne. Passiamo per Sala Settembre e, visto che siamo in zona, anche se fuori tragitto, ci concediamo una visita alla Sala della Foglia. Non so perché me l’ero sempre immaginata piccolina e forse per questo le sue dimensioni mi lasciano sorpreso.
Riprendiamo il cammino e, infilata la muta (un’altra prima volta), attraversiamo i rami sifonanti per raggiungere quella che per decenni è stata la frontiera della Rana: Sala Ultima Spiaggia. Procediamo per il tratto scavato, forse un po’ di stanchezza, forse il timore di distruggere la muta al primo utilizzo fanno sì che mi sento veramente goffo a percorrere questi meandri costellati di tubi e lamiere. Finalmente arriviamo al cancelletto della congiunzione, stiamo uscendo dal Buso della Rana per entrare in quello della Pisatela. Apriamo l’oblò per accedere al lucchetto, rimuoviamo quest’ultimo e il cancello… non si apre! Non si apre con le buone per lo meno, con una deciso colpo di stivale si riesce a passare oltre. Probabilmente il movimento della frana ha deformato leggermente la struttura e anche il richiuderlo è una manovra che richiede l’ausilio di una calzatura.
Passiamo per la Sala della F-rana, percorriamo il Lagolungo, raggiungiamo Sala delle Mogli e, visto che abbiamo addosso ancora le mute, tralasciamo il bypass asciutto per fare un giro sullo Stargate ed arrivare infine alla Sala dell’Orda.
Qui la serenità che aveva contraddistinto il nostro percorso si dissolve di fronte all’ennesimo episodio inspiegabile che si aggiunge a quelli che già hanno turbato i sonni dell’intera comunità scientifica internazionale e ispirato recenti letterature specialistiche. La corda che ci dovrebbe permettere di risalire è raccolta in una matassa in alto, a ridosso dell’armo.
Lo sconforto è totale. Addio traversata. Assaporavamo già l’uscita e invece siamo costretti a ritornare sui nostri passi con il dubbio di non riuscire ad aprire il cancelletto incastrato e la seria prospettiva di movimentare il soccorso visto che, nella migliore delle ipotesi, concluderemo con un clamoroso sforamento degli orari previsti. Con la forza della disperazione tentiamo il tutto per tutto, io, in equilibrio precario, mi presto a fare da scala a Matteo che, da abile arrampicatore quale è, riesce ad ergersi sulla cengia soprastante e quindi sciogliere la matassa e rilasciare la corda.
Congelata la tragica ipotesi di ritornare nelle vie bagnate ci togliamo le mute non senza il timore di trovare altre sorprese. In assetto da risalita e con i sacchi più pesanti andiamo oltre. Forse i passaggi aerei non sono il mio forte o forse i miei scarponi sono più adatti ai ghiaioni che alle grotte sta di fatto che incontro un altro piccolo calvario nel superare un breve passaggio. A questo punto, sarà anche la stanchezza ma, ‘sta Pisatela non mi sembra poi così banale come me l’ero figurata. Alcuni passaggi su pioli fatico ad interpretarli, i pozzi sono sì corti ma angusti e a questo punto non mi resta che ricorrere ad uno stratagemma mentale per attingere alle ultime stille di energia rimaste: visualizzare una fresca birra media che mi aspetta al bar Rana.
Siamo finalmente prossimi all’uscita e si percorre un meandro in salita, il sollievo di avere un po’ di morbida terra sotto ginocchia e gomiti doloranti viene vanificato dal fastidio di dover spingere in su un sacco che invece vorrebbe rotolarmi sul naso (è forse la prima volta che mi scorrazzo un sacco tutto mio per un’intera escursione). Fuori trovo Matteo che mi attende compiaciuto per darmi il cinque, io lì per lì non riesco a gioire, un po’ perché, scarponi o stivali che siano, quando faccio un’uscita con chi fa speleologia da anni mi sento sempre un po’ inadeguato, un po’ perché per avere la mia birra devo ancora scendere a piedi fino a contrà Maddalena, però oggi per la prima volta sento di aver fatto qualcosa che vale la pena raccontare e così mi ritrovo a scrivere quello che state leggendo, sarà perché forse oggi, grazie a Matteo, ho fatto una cosa da speleologi, (quasi) come “quelli veri”.